lunedì 5 marzo 2012

Debito pubblico , tasse e.. una grande menzogna


Una delle più ricorrenti ragioni per le quali tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni non sono riusciti a realizzare una riforma fiscale che portasse ad una seppur minima  diminuzione  delle aliquote, che sappiamo essere tra le più alte in Europa,  è l’enorme debito pubblico del Paese, ovvero gli interessi che ogni anno siamo costretti a pagare e che incidono pesantemente sul conto economico del Paese.  Un’altra ragione è l’elevata evasione fiscale – sarebbe più opportuno a mio avviso parlare di elusione fiscale – con la quale vengono sottratte alle casse dell’erario importanti risorse che, conseguentemente, obbligano ad incidere in maniera più pesante su coloro che le tasse le pagano. E’ un argomento, quello dell’evasione e dell’elusione su cui torneremo prossimamente.


Il debito pubblico elevato obbliga quindi gli amministratori dello Stato a mantenere un’elevata pressione fiscale, non liberando così risorse da destinare alle infrastrutture, alla sanità, ai servizi. Ed il rischio è che  Il circuito perverso che si e’ creato tra servizi scadenti, evasione fiscale, aliquote e tassazione occulta rischia di disgregare le basi stesse della nostra democrazia  e della pace sociale.


I cittadini sono oramai così abituati a sentire il ritornello debito alto = causa mancata riduzione delle tasse che sfiniti ed impotenti, rassegnandosi, hanno finito con il crederci. Ma è davvero così? Oppure è una grande cortina fumogena (menzogna) per mascherare incapacità, inefficienza e sprechi?


Vediamo alcuni numeri con un semplice paragone che è stato oggetto di  un interessante confronto con le tesi sostenute da Giuseppe Bortolussi (che condivido)  nel corso del weekend  in occasione di un Convegno.   Non consideriamo ovviamente il capitale, ovvero il valore assoluto del debito: quello viene restituito negli anni ed è  sostenuto da altre emissioni di titoli.  L’ammontare degli interessi che lo Stato Italiano  (i cittadini)  deve pagare ogni anno e deve quindi inserire nella legge finanziaria, in valore assoluto è oggi  pari a ca. 70 Mld/€. Esagerando, dati i recenti alti tassi dovuti (?) alla scarsa fiducia degli Investitori,  poniamo siano pure 80: ma si, non badiamo a spese. Ora, espressi in percentuale sul Pil italiano, questi valori incidono attorno al 2,5%. Immaginiamo ora questi numeri riferiti ad una Azienda privata, meglio ancora ad un nucleo famigliare. Per facilità di calcolo, supponiamo che il reddito a disposizione (il pil)  di questa ipotetica e felice famiglia sia di 100.000 €/anno. (..bel reddito, ma ricordiamoci che la nostra economia è pur sempre la seconda in Europa). Ebbene, questa (fortunata) famiglia si ritrova così  a pagare 2.500 € di interessi a fronte dei propri debiti. Ma la cosa non impedisce al “buon padre di famiglia” di soddisfare i bisogni primari del proprio nucleo, di mandare i figli a scuola, di comprare qualche libro e, perché no, qualche ulteriore spesa accessoria, ristorante, cinema,  una vacanza ….


In conclusione, l’incidenza degli interessi dovuti al debito è irrilevante rispetto al totale delle entrate, pertanto la risposta alla domanda posta è che  i motivi per i quali non si è riuscito ad intervenire sono altri e, direi… di tutta evidenza!


Siamo quindi fronte ad una colossale menzogna, ovvero la ricerca di una facile giustificazione proferita da parte dei vari governi negli anni, ad una sostanziale incapacità di gestire i conti pubblici con la diligenza del “buon padre di famiglia”, al contrario caratterizzata da sprechi delle risorse disponibili e da malaffari di diversa natura, corruzione nella pubblica amministrazione ed indebiti arricchimenti personali a danno della collettività. Mi approprio delle parole in varie occasioni pronunciate a gran voce dall’amico Oscar Giannino: “Stato ladro”. E’ così. Il debito pubblico? Un’altra faccenda…

1 commento:

  1. Giuseppe Bortolussi negli ultimi anni si è distinto per le significative denunce contro l’aumento della tassazione a livello locale, le disfunzioni legate all’inefficienza della pubblica amministrazione e un duro contrasto ai nuovi studi di settore.
    Attualmente è direttore sia dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre sia delle due riviste quadrimestrali “Veneto Economia & Societ” e “Quaderni di ricerca sull’artigianato”.

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