venerdì 29 novembre 2013

Berlusconi e Legge di Stabilità, due misfatti in un giorno solo


28 - 11 - 2013Romano Perissinotto

Ed ora che succede dopo il misfatto?
Non mi riferisco all’ipocrita giornata vissuta ieri a Palazzo Madama, dove un’assemblea di nominati ha votato decadenza di Silvio Berlusconi. Tutto si è svolto come ampiamente previsto dal Cavaliere, non c’era assolutamente nessuna possibilità che l’acclarata stupida miopia dei suoi avversari – meglio sarebbe chiamarli nemici (cit.) – sparisse d’incanto e portasse così ad una soluzione di buon senso. Ci torneremo più tardi.
E’ la votazione di fiducia della legge di stabilità, soprattutto nei tempi e nei modi a rappresentare un misfatto. Sarebbe stato divertente chiedere ai senatori assonnati e distratti che nelle notte l’hanno approvata se, data l’importanza che riveste, fossero a conoscenza di che cosa stessero votando. Ma tutto passa nell’indifferenza in un Paese spompato e angosciato, dove la benzina dei consumi è in riserva secca, le imprese annaspano e qualche ministro illuso – o in altre faccende affaccendato – spaccia per antibiotici anti crisi i piccoli e modesti interventi di quello che oramai, purtroppo, si è definitivamente rivelato come un governicchio di stabilità, intesa però come immobilismo e non come condizione necessaria e responsabile per l’agognato interesse nazionale. Ben altro dovrebbe essere l’interesse nazionale e nondimeno meglio rappresentato laddove è possibile a farlo, in Europa.
Ma il governicchio è pavido, una sorta di Godot che aspetta il treno della ripresa, si contraddice per mesi, spesso straparla per bocca dei suoi ministri, pomposi annunci poi smentiti in un tira-e-molla fatalmente coatto data l’insipienza dei suoi esponenti e la palese fragilità dimostrata dalle larghe intese, infine redige un documento, il più importante… stabilmente inadatto ed irresponsabilmente approvato con tempi da qualifica degni della pole position di un gran premio di formula uno.
Ma tant’è, altre erano le esigenze e la discussione ritenute importanti ed ineluttabili: c’era da rispettare la scadenza principe, quella al di sopra di ogni altra priorità, persino dell’interesse nazionale: la decadenza di Berlusconi. Ecco il vero misfatto della due giorni vissuta al Senato: le soluzioni proposte dal Governo con la legge di stabilità non meritavano di essere discusse e vagliate a fondo, a ben altri ineludibili compiti erano chiamati i signori senatori della Repubblica.
Così era stato voluto e programmato dal Colle, così la giornata è stata gestita dal presidente Grasso come una grottesca apoteosi dell’ipocrisia dilagante che passerà alla storia quale una delle più imbarazzanti e per molti aspetti tragiche ed insieme ridicole della vita parlamentare. Peraltro, la conseguenza paradossale per i suoi nemici è che l’unico sopravissuto a questa giornata infelice sarà proprio lui, il Cavaliere che hanno fatto decadere dallo scranno parlamentare ma rimesso in sella come e più di prima, pronto a cimentarsi ancora e da par suo nell’eterna battaglia dei consensi.
Lo spirito sadomasochista dei talebani senatori della sinistra e gli ormoni impazziti degli adolescenti grillini,  paladini di un equivoco di fondo che identifica una sentenza di tribunale con la giustizia, hano avuto ieri la possibilità di procurare loro un orgasmo collettivo atteso da vent’anni, ma che si è già rivelato come una eiaculazione precoce nel soddisfare le esigenze di una democrazia e di una nazione che ben altre virili prestazioni e soddisfazioni avrebbe bisogno. Si consumavano all’interno del palazzo, rendendosi consapevoli (a coito oramai avvenuto) della loro modesta ed indegna figura, si guardavano infine negli occhi cercando conforto reciproco, timorosi per l’effetto boomerang  che avevano messo in moto.
Intanto, a distanza di poche centinaia di metri si rafforzava un vecchio legame tra un condannato decaduto e la sua gente, si chiudeva una vita istituzionale per aprirne una nuova. E’ il terzo capitolo di un’araba fenice brianzola che, salutando commosso al grido finale “andiamo avanti”, dava un doppio appuntamento ai suoi adepti ed agli avversari – pardon nemici – per le prossime scadenze elettorali: ci vediamo alle europee, probabilmente anche prima

lunedì 4 novembre 2013

Saccomanni dice un sacco di frescacce sul contante


30 - 10 - 2013Romano Perissinotto
Saccomanni dice un sacco di frescacce sul contante
Ascoltare alla radio il ministro Saccomanni fare il punto sulla legge di stabilità mentre stai guidando in autostrada sotto un nubifragio autunnale che nulla ha da invidiare a un temporale estivo, rafforza la percezione – peraltro diffusa – che l’Italia non sia un Paese normale. Quando poi ritorna sulla sterile e noiosa questione dei limiti all’uso del contante, sopraggiunge dapprima una sensazione di scoramento che si trasforma subito dopo in una esclamazione liberatoria del tipo “ma va a… stare nel mondo reale”.
Davvero sono ancora a discutere sulla questione? Ancora la libera circolazione del contante è considerata dal ministro come la madre di tutti i problemi legati all’evasione fiscale e il ridurne l’uso come la panacea dei conti pubblici dello Stato? Delle due, l’una: o il ministro ingenuamente ci crede davvero, oppure siamo di fronte ad un ennesimo grande inganno. In ogni caso, dimostra agli italiani di essere inadeguato al ruolo, come peraltro gli era già successo in occasione di sue precedenti inopportune e intempestive dichiarazioni.
Credere che l’utilizzo della moneta elettronica, quindi la tracciabilità delle transazioni, possa risolvere il fenomeno dell’evasione domestica è un non senso ridicolo, rivelatore dell’incapacità congenita di percepire la realtà terrena, tipica di chi, vissuto sulla luna, è chiamato a gestire ciò che accade sulla terra.
Abbiamo già visto nel recente passato certe genialate tafazziane sul lusso e gli effetti reali che hanno poi prodotto: code alle frontiere di capitali in fuga, interi settori in agonia e aumento degli acquisti oltreconfine. Nefasti!

Solo un tecnocrate come Saccomanni prestato frettolosamente alla politica può credere che un evasore possa essere dissuaso da una tale misura. E poi, è possibile che il ministro non accenni al fenomeno dell’elusione fiscale, quella che davvero incide sui conti pubblici e che certo non è regolata da pagamenti in contanti?
Siamo ancora una volta di fronte a un atteggiamento demagogico e ipocrita che, a fonte dell’incapacità da parte del governo di percepire un principio di realtà, ovvero la necessità di un radicale cambio di paradigma nel rapporto fiscale tra Stato e cittadini, ci si trincera accusando questi ultimi di essere tutti, indistintamente, una sorta di furbetti o peggio delinquenti.

Tutto ciò, oltre che stupido, ingiusto e offensivo, è francamente intollerabile, in particolare per chi il contante lo ha guadagnato onestamente e ha il diritto di spenderlo in Italia come vuole e nella forma che gli è più comoda, senza essere tentato o costretto ad andare all’estero…

venerdì 25 ottobre 2013

Cari Renzi e Alfano, cosa volete fare da grandi?


22 - 10 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
Cari Renzi e Alfano, cosa volete fare da grandi?
La sintesi finale sarà un nuovo bipolarismo, probabilmente destinato a sconfiggere la protesta inconcludente di Grillo e a decretarne la fine.
Con tutte queste correnti all’interno dei partiti, chi frequenta il Parlamento corre seriamente il rischio di buscarsi un malanno. E visto che di politica stiamo parlando, la malattia più temuta dall’onorevole o senatore indigeno è quella che lo debiliti a tal punto da escluderlo dalla prossima campagna elettorale. L’istinto di sopravvivenza è innato in ogni essere vivente, figuriamoci poi in quelli che per vocazione, ideali o opportunismo si ritrovano a rappresentare la nazione in un consesso istituzionale. Da qui nasce il sospetto che le accese discussioni, gli appelli pro e contro la stabilità di governo, i manifesti di novelli candidati alla guida di un partito, siano dettati più dall’esigenza dei singoli di ritagliarsi un angolo di paradisiaca visibilità mediatica, una sorta di viatico per il futuro, che non per una questione di principi e idee divergenti su di uno specifico argomento.
Gli abili sforzi da equilibrista esperto qual è, costringono il premier Letta a dare un calcio al cerchio ed uno alla botte con il risultato finale di scontentare tutti, dai partiti che lo sostengono alle associazioni di categoria. Ma è un governo delle larghe intese, frutto di un voto dei cittadini italiani che pone poche alternative, anzi nessuna dato che a breve la Consulta dovrà esprimersi sulla costituzionalità delle legge elettorale in vigore, mentre è di tutta evidenza che l’attuale schieramento parlamentare ben difficilmente riuscirà a partorire qualche altra proposta che non sia un ennesimo pastrocchio. Viviamo una situazione surreale di alchimie politiche, con personaggi in cerca d’autore – leggi leader – ed altri che ambiscono ad esserlo, altri ancora che scoprono quanto la politica sia dura e difficile e non basta essere professori per non inciampare nei fili invisibile che quotidianamente vengono tesi. E’ il caso di Monti, un marziano da salotto che nell’arena non avrebbe dovuto mai scendere e che ora si ritrova a parlare di un cagnolino e a puntare il dito verso quel Letta che solo una settimana fa aveva elogiato in Senato nel suo intervento a favore della fiducia. Una misera fine.
E mentre uno sparisce, altri si propongono. Alcuni come Renzi con indubbia capacità d’espressione, ma con programmi che non chiariscono, al di là di una dose massiccia di populismo, che cosa propone, o meglio a chi si rivolga: ha ragione un vecchio democristiano come Pomicino quando afferma che quello del sindaco è un manifesto che potrebbe essere votato dalla Santanchè come da Grillo. Di tutto un po’ va bene per taluni ambienti e determinati momenti, ma poi alla resa dei conti, resterà da vedere come potrà rivolgersi agli azionisti di maggioranza del suo partito e, in particolare, se sarà sufficientemente vaccinato per resistere…
Dall’altra parte Alfano è il delfino combattuto tra l’amore dei voti del padre e l’ambizione personale che è giusto che ci sia. L’esperienza passata dovrebbe avergli insegnato qualcosa, quindi non stupiscono i suoi proclami di fedeltà e riconoscimento del ruolo di Silvio Berlusconi:il vecchio leader sarà pure acciaccato dagli attacchi togati, ma il segretario del Pdl è ben consapevole che senza il suo imprinting le urne del centrodestra rischiano di essere scarne alla prossima chiamata. D’altronde, anche vecchie volpi della politica come Casini e Mauro lo hanno ben capito.
Quindi, mantenere la calma: è inutile agitarsi. Il governo Letta naviga in acque turbolente ma è ben attrezzato per stare a galla e, al di là delle dichiarazioni di facciata, tutti i partiti trasversalmente sono impegnati a guadagnar tempo per darsi una nuova fisionomia. La sintesi finale sarà un nuovo bipolarismo, probabilmente destinato a sconfiggere la protesta inconcludente di Grillo e a decretarne la fine. Ma ciò che preoccupa, date le esperienze passate, è che si cada ancora nell’ennesimo errore di coalizioni ed alleanze elettorali che poi si sciolgono dopo il voto, lasciando il Paese nella consueta impossibilità di essere davvero governato.
Insomma, il solito disco rotto dei facili proclami e delle chiacchiere ma di poca valenza pratica, che potrà smettere di gracchiare solo quando si cambieranno le regole del gioco. E non attraverso una nuova legge elettorale, ma quelle di fondo, ovvero si giunga grazie alla riforma della Costituzione ad un vero cambiamento che porti il modello di democrazia parlamentare a quello presidenziale. E’ tempo che questa giovane Repubblica Italiana decida cosa vuole essere e cosa voglia fare da grande.

martedì 22 ottobre 2013


Davvero bella la manovrina da governicchio…


17 - 10 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 

Lasciamo che altri, più esperti, scrivano nel dettaglio dei pregi ed dei difetti della Legge di stabilità. Lasciamo pure che il dibattito politico si accenda e si spenga con le consueta velocità di una fiammata e si esaurisca poi nelle solite effimere discussioni dei talk show serali. Chiudiamo un occhio sulla sgangherata maggioranza che sostiene il governo e tutti e due sulle sbalorditive dichiarazioni di molti ministri e sottosegretari che lo compongono.

Ma due  considerazioni due sulla percezione di ciò che accade sia consentito farle. La prima, sul significato di stabilità. In premessa, corre l’obbligo di fare i complimenti a Letta perché sta interpretando benissimo il senso della parola e lo applica letteralmente alla sua azione di governo: è ferma, costante ed inalterata nel tempo. Già, peccato però che queste caratteristiche mal si rapportino con lo stato disastroso dell’economia reale del nostro Paese che di ben altre parole, azioni e, soprattutto, atteggiamento avrebbe bisogno. Difficile credere, anche per i più fiduciosi ed ottimisti, che le mezze misure proposte  – vedremo poi il come si svolgerà il dibattito nelle aule parlamentari  – possano sortire un qualsivoglia beneficio per imprese, famiglie e consumi nel prossimo anno. Il comandante Letta, seguendo le indicazioni di rotta che provengono dalla torre di controllo di Bruxelles, è ancora convinto di pilotare un aliante che può sfruttare le correnti – ripresa – per volare. Ostinatamente mantiene la direzione, ma non si accorge che il suo è invece un aereo a motore ed il carburante (leggi imprese e consumi) è in riserva da oramai troppo tempo. Una volta finito, rischia di andare a sbattere contro una montagna invece di superarla alzando i giri del motore.
La seconda riguarda gli effetti presumibilmente depressivi che tali incertezze e mezze misure determinano sul comune percepire della gente, in particolare sugli imprenditori ed investitori. Fa sorridere una dichiarazione del ministro Saccomanni che tra i pregi della Legge di Stabilità individua la “certezza” che essa propone per il prossimo trienno: ma dove la vede? Basti notare nella bozza, tra le varie fumose ed incerte coperture indicate sulle quali, come detto, lasciano ad altri più esperti ogni commento tecnico, il susseguirsi di ipotesi alla voce “o in alternativa”. Che significa se non la palese e rassegnata confessione di aver poche idee, peraltro confuse ed aleatorie?  Si pensa davvero che imprenditori ed investitori sani di mente possano trarre da queste premesse quella spinta motivazionale necessaria per credere ancora nella potenzialità del sistema Italia? Pare davvero il governo degli illusi, o peggio, degli sprovveduti.
A meno che, machiavellicamente pensando, quella che doveva essere un’opportunità  di chiudere ogni discussione effimera per mostrare l’essenza di un vero governo del fare, non si riveli l’ennesima dissimulazione di un governicchio con ben altre ambizioni, che nulla hanno a che fare con i reali bisogni del Paese. In questo caso, la stabilità di galleggiamento avrebbe un altro lecito sebbene miserevole e triste significato, ovvero quello di prendere tempo per costruire una nuova operazione politica, diventando così solamente una sorta di grande inganno. A pensar male … ci si azzecca.

giovedì 10 ottobre 2013

Verità e amnesie su Forza Alitalia di Berlusconi


09 - 10 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net

Verità e amnesie su Forza Alitalia di Berlusconi
Alitalia è ancora una volta sugli scudi: perdite per centinaia di milioni e pochi soldi in cassa, così scarsi da dover ricorrere al credito dell’Eni per fare il pieno ai propri aerei. Basteranno ancora per pochi giorni, poi tutti a terra e si aprirà un ennesimo nuovo capitolo.
Al momento, la situazione sembra molto confusa, con fantasiose soluzioni di merger tra partecipate pubbliche, ipotesi di interventi poi smentiti della Cdp, interessi di altre compagnie extra europee, aumenti di capitale da parte degli attuali azionisti, in particolare Air France Klm.
Vedremo come andrà finire, con l’auspicio che almeno questa volta, la politica ed il governo italiano facciano tutto quello che possono per il buon fine della vicenda, ovvero ne stiano semplicemente fuori. Speriamo che anche i sindacati abbiano imparato la lezione dalla precedente tragicomica transazione del 2008 e si comportino di conseguenza, evitando cioè di sollevare barricate costruite però con i mobili dei lavoratori.
Gli errori del passato
A proposito di Air France Klm e di come a suo tempo siano stati commessi molti errori che hanno portato la compagnia di bandiera ad essere ceduta per un tozzo di pane –  a spese dei contribuenti  - ad una cordata italiana di imprenditori e banche guidata da Airone, capita di leggere da più parti ricostruzioni dei fatti che viziano, almeno in parte, la realtà storica, imputandone la responsabilità, guarda caso, al solo Silvio Berlusconi.
La realtà diversa dalle idee
Ma a ben guardare i fatti, la realtà è ben diversa. Se proprio di colpe dobbiamo parlare, per onestà intellettuale queste dovrebbe essere quantomeno suddivise tra i vari attori,- Air France su tutti – lasciando al Cavaliere il solo peccato essersi adoperato in prima persona per favorire la costituzione di quel consorzio, sostenendo (opinione personalissima di chi scrive) una inutile quanto obsoleta idea che avrebbe meglio tutelato l’identità nazionale della compagnia aerea e di aver poi utilizzato tale vicenda ai fini di promuovere la sua campagna elettorale. Promozione personale e comunicazione: viene da dire che in questo genere di attività è stato talmente bravo da pagarne oggi le conseguenze nella memoria collettiva di quella vicenda.
Le molte e molteplici colpe
Nel merito, trascendendo le più antiche questioni sull’allegra gestione storica della compagnia, basta guardare ai fatti con occhi non viziati da pregiudizi personali o di convenienza politica, per rendersi conto che, dopo la decisione del dicembre 2007 presa all’unanimità dal Cda Alitalia, di avviare la trattativa in esclusiva con Air France-Klm per la vendita della quota del 49,9% allora detenuta dal Tesoro, la faccenda è stata gestita con il concorso di colpa dei molti soggetti coinvolti e condizionata peraltro anche da fattori esterni.
I sostenitori di Air France
Tra i sostenitori dell’acquisizione da parte della compagnia transalpina, spiccavano l’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, sostenuto dal suo ministro dell’economia Padoa Schioppa. Più ambigua la posizione del ministro per lo sviluppo economico Bersani che, rispondendo ad un comunicato diffuso da AirOne subito dopo la delibera del Cda Alitalia (con il quale la compagnia italiana chiedeva di poter comunque presentare un proprio piano direttamente al governo per un esame approfondito dei suoi aspetti industriali, finanziari e delle sue implicazioni nel Sistema Paese) manifestava una certa inclinazione per la soluzione italiana, pur non ritenendola pregiudiziale.
I sostenitori dell’italianità
All’opposto, tra i più convinti sostenitori della via AirOne, spiccavano oltre al leader dell’opposizione, il citato Silvio Berlusconi, il vice premier Rutelli, l’allora Amministratore Delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, infine il Presidente di Confindustria Luca Montezemolo. Alla fine, il governo Prodi si riservò di decidere. In sintesi, parecchie opinioni e visioni divergenti, sostanzialmente molta confusione negli intenti.
I piani dei francesi
Senza voler scendere nei dettagli della proposta d’acquisto formulata da Air France, che prevedevano tra l’altro investimenti per diversi miliardi di euro nel lungo termine, il progressivo rinnovo della flotta e presunte sinergie operative, giova ricordare che il prosieguo della trattativa, era ovviamente subordinato alla preventiva approvazione dei sindacati. Passano le settimane ed arriviamo così all’aprile del 2008, nel frattempo i premier Prodi viene sfiduciato.
Le amnesie dei sindacati
Al termine di una lunga riunione con i sindacati, avviene la rottura: Air France dichiara per bocca del suo presidente Spinetta che, a seguito delle richieste avanzate, ritenendole incompatibili per un ritorno della compagnia italiana alla redditività, non ci sono più le condizioni per andare oltre. Il capo della Cgil, Gugliemo Epifani, oggi segretario del Pd, gli risponde che la proposta non era accettabile per il livello di esuberi richiesto, non c’erano adeguate garanzie per l’area di Alitalia Servizi, per il futuro dei suoi dipendenti, quello di Malpensa e per il settore della manutenzione. Posizioni inconciliabili che portano a dure critiche da parte di Romano Prodi, premier dimissionario,  nei confronti dei sindacati ed alle secche repliche di quest’ultimi, in particolare di Epifani. Entrambi, però, non perdono occasione “di buttarla in politica”  rivolgendo critiche verso l’atteggiamento pro AirOne assunto dal vincitore delle elezione,  Silvio Berlusconi, dimenticandosi però tutti gli altri…
Un sospetto su Air France
Nondimeno, sull’atteggiamento di Air France sorge il sospetto che le diatribe nostrane e l’ostruzione dei sindacati abbiano in realtà consentito a Spinetta un’agile quanto repentina uscita di sicurezza da una situazione piuttosto complicata e difficilmente comunque sostenibile.
I numeri del tempo
Occorre ricordare che anche la gestione Air France non presentava numeri d’eccellenza, con utili in picchiata e previsioni future altrettanto negative. Incombevano ai tempi le prime nere nubi della crisi, con un prezzo del petrolio che aveva raggiunto i 135 dollari al barile mentre il piano industriale predisposto dai francesi si basava su una quotazione molto più bassa, intorno agli 80/85 dollari a barile. Date poi le sempre più precarie situazione di Alitalia, non si può non pensare che il buon Spinetta, lecitamente peraltro,  confidasse nell’ipotesi di un sicuro fallimento di Alitalia: in quel caso sarebbe stato estremamente più conveniente chiudere l’operazione con ovvii benefici per i francesi.
Che cosa succederà
Come sono poi andate a finire le cose è noto a tutti. In queste ore si apre un nuovo capitolo sul futuro della tafazziana avventura di Alitalia che certamente non vedrà protagonista Silvio Berlusconi. A meno che, anche questa volta, qualcuno non si riesca a far passare comunque la stravagante idea di un Cavaliere attore principale che influenza a prescindere: data la storia recente e le esperienze passate, non ci sarebbe poi così tanto da rimanere stupiti. D’altronde, anche il riscaldamento globale del pianeta e lo scioglimento dei ghiacci non sono forse opera sua?

mercoledì 9 ottobre 2013

Letta-Alfano, governicchio o vero governo del fare?


07 - 10 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net

Aprite le porte e fate squillare le trombe. Fate largo al nuovo che avanza e guai a chiamarlo con il nome di un bianco cetaceo: forse qualcuno dei presunti novelli dorotei potrebbe offendersi, ma certamente molti tra coloro che la fondarono nel 1942 lo prenderebbero come un insulto.  Già, la Democrazia Cristiana: fosse ancora in vita, il grande Giulio Andreotti ci avrebbe sicuramente deliziato in queste ore con le sue celebri battute.
Magari, prendendone a riferimento una famosa, potremmo dire che il governo logora chi non riesce ad ottenerlo con il confronto democratico, nell’urna, ed allora è costretto ad affidarsi ad altre vie. Oppure che le larghe intese logorano i partiti, dato che condizione necessaria per la grande pacificazione di governo dovrebbe essere supportata dalla logica elementare di una necessaria intesa preliminare all’interno dei partiti che la sostengono. Tant’è, vivendo nel Balpaese dove ogni stravaganza politica è possibile in nome del benessere collettivo, salvo poi fare di tutto tranne che definire e comprendere chiaramente quale sia la ricetta giusta per raggiungerlo ‘sto benedetto benessere, di fatto ci si ritrova a distanza di mesi dalle ultime elezioni ancora con mille domande, molte dichiarazioni di buoni propositi, tante scuse, alcune giustificazioni ed un sostanziale poco di fatto.
Dopo una settimana convulsa, di votazioni di fiducia surreali, il teatrino romano sembra aver riaperto il sipario: da una parte si scalpita per la successione – ammesso ma non concesso che il monarca sia politicamente morto – dall’altra ci si interroga su cosa sia realmente accaduto, lanciando nel frattempo puerili appelli alla controparte affinchè abbandoni  il leader al suo mesto destino.
Persino il saggio e capace Letta, gabbato all’ultimo minuto da Berlusconi, abbandona la cautela ed il suo proverbiale equilibrio con dichiarazioni frutto più di una malcelata frustrazione che di un convinto ragionamento politico. Ed il suo vice, Alfano, che conosce i difetti del Cavaliere ma ancor di più la sua tempra, le sue virtù e soprattutto il suo peso presso l’elettorato di riferimento, esibisce davvero il proprio quid intelligente bloccando sul nascere ogni interferenza esterna nelle vicende del partito, così come, all’interno, ha saputo sia spegnere i bollori di quattro gatti separatisti  in cerca di gloria e rinnovata ribalta personale, sia la follia di alcuni cortigiani preoccupati più del loro destino che dell’interesse del leader.
Vedremo nei prossimi giorni se il governo Letta, quella che ho sempre pensato fosse la miglior soluzione nella peggiore delle situazioni possibili dopo il voto di febbraio,  sarà un governicchio di sola facciata, ovvero una cortina fumogena che maschera ben altri obiettivi di nuovi scenari centristi e paludosi, oppure si rivelerà davvero un governo del fare, consapevole della necessità di andare in Europa a chiedere maggiore flessibilità in cambio di un serio programma di tagli e riforme. Confido nella seconda, speranzoso ed ottimista nell’attesa che si prenda poi consapevolezza della necessità di cambiare le regole per arrivare, finalmente direi, ad un sano e vero bipolarismo dell’alternanza  –  e di premier  – che possano davvero governare senza subire inevitabili stop and go da maggioranze frutto di sterili alleanze elettorali e delle tragiche e tafazziane contingenze post voto. Solo allora potremo parlare seriamente di crescita e benessere collettivo, valutando prima le diverse ricette e poi, una volta scelto il menù proposto dai partiti, lasciare che lo chef possa cucinare il piatto senza che nessuno si affanni continuamente a spegnere il fornello durante la cottura. E se il piatto non dovesse poi piacere? Semplice, si cambiano sia il menù sia lo chef.

sabato 28 settembre 2013


Napolitano, Craxi e la lezione degli anni Ottanta


26 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 
Napolitano, Craxi e la lezione degli anni Ottanta

“Caro Romano,… spero vivamente di vederti…” Capita di ricevere un invito da un’amica a partecipare ad un convegno sul di lei celebre padre, Bettino Craxi. Il tema centrale è incentrato sulle azioni che hanno contraddistinto il governo presieduto dal leader socialista dal 1983 al 1987. Quindi ti organizzi, fai disdire gli impegni precedentemente presi, levataccia mattutina, treno e via a Roma.
Dopo i saluti, alla presenza del Presidente Napolitano, Stefania apre i lavori ricordando la figura del padre, sottolinea come i comunisti di allora non persero l’occasione di cavalcare l’onda di populismo e demagogia sollevata dalla magistratura milanese, spaventatissimi da quel revisionismo ideologico della sinistra promosso da “un socialista unico, totalmente anti-comunista” come ebbe modo di essere definito dall’allora presidente americano Ronald Reagan. Un inciso: suggerisco a Renzi, qualora non l’avesse già fatto, di andarsi a studiare a fondo quel periodo storico perché gli sarebbe molto utile nel suo percorso…
Nel mentre, osservo il Presidente della Repubblica che ascolta attentamente le parole di accusa pronunciate dalla figlia di Bettino. Non posso fare a meno di pensare a cosa può passare nella mente dell’ex comunista Napolitano, di come la vicenda di Tangentopoli e quella personale e politica di Craxi offrano spunti ancora attualissimi di attenta riflessione per le decisioni che il Capo dello Stato presto dovrà prendere ineludibilmente in merito alle note questioni del Cavaliere.
Poi si susseguono gli interventi di noti professori, non socialisti e nemmeno di parte, dai quali emerge chiaramente lo statista Craxi ed inducono a riflettere su come la sua vicenda storica sia ancora viziata da un cieco giustizialismo fomentato da una certa stampa e miseri interessi di opportunismo politico di alcuni. Le monetine del Raphael rimangono nella memoria collettiva della gente, alterando così il valore del pensiero riformista del precursore Craxi ed i risultati conseguiti dal suo governo: dal valore della sua politica estera – basti ricordare l’ingresso dell’Italia nel G7 – ad una politica economica che portò il Paese a superare per prodotto interno la Francia e la Gran Bretagna, al concordato con la Chiesa.
Purtroppo, populismo e demagogia sono i peggiori nemici di una moderna e sana democrazia, come lo è del resto il vizietto di alcuni che si ripete ancora oggi, ovvero quello di delegare a terzi il compito di sconfiggere mediaticamente e politicamente l’antagonista, visto solo come un nemico e non come un interlocutore con il quale confrontarsi per il bene comune: libertà è avere rispetto prima di tutto dei diritti degli altri, ma anche di poter difendere i propri e, nel caso di un leader politico qualunque esso sia, quelli dei suoi elettori.
Tornando al convegno, dopo che il Presidente si è congedato, nel pomeriggio è il turno delle testimonianze dei diretti protagonisti dell’epoca – da De Michelis, all’allora direttore della banca d’Italia Lamberto Dini, a Fedele Confalonieri, Forlani per citarne solo alcuni – si succedono agli accademici interventi del mattino, il tutto sotto la regia del sapiente Bruno Vespa nazionale. Nell’informale dibattito, si alternano le memorie che danno risalto sia al dinamismo ispirato anche dalla sua Milano, sia al tanto discusso decisionismo craxiano, ovviamente dissacrato dalla sinistra comunista di allora “…che voleva vedere la televisione in bianco e nero quando il colore aveva fatto da tempo la sua comparsa ed era oramai nelle case di tutti gli italiani”
Ed in treno, rivivendo con la memoria gli anni ’80, ti scopri a pensare quanto attuali siano i temi affrontati nella giornata e di come sia evidente il rischio di commettere gli stessi tragici errori di Tangentopoli. Si badi, non c’entra un certo parallelismo tra le vicende di Craxi e quelle diBerlusconi, non c’entra l’appartenenza ad una determinata cultura o parte politica e nemmeno l’essere il garantista o il giustizialista del caso. La politica allora diede prova di grande ipocrisia ed alcuni si salvarono per questo da una giustizia afflitta dalla sindrome della lente d’ingrandimento, dando poi il via ad una stagione ventennale di conflitti ancora oggi lungi dall’essere finiti.
Sembra davvero che la storia si ripeta ed i disastri attuali e quelli futuri sono di tutta evidenza, ancora più gravi di quelli passati. Con tutto il rispetto, magari grazie anche ai ricordi personali che il convegno gli avrà sicuramente stimolato, auspico solo che il Presidente Napolitano non commetta l’errore del suo illustre predecessore Cossiga e possa trovare una soluzione politica per il cul de sac in cui si trova il Paese: data l’impotenza e l’incapacità manifestate dal Parlamento, davvero non rimane altro che questa presidenziale uscita d’emergenza dalla palude del non fare, quando invece avremmo bisogno di tanto, ma tanto decisionismo.

venerdì 27 settembre 2013

Basta chiacchiere, cambiamo paradigma anche in Europa


24 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 

La coperta è troppo corta ed il periodo delle chiacchiere e degli interventi tampone è davvero finito. E’ inutile stare ad elencare tutti i giorni gli errori commessi in passato, come è noioso e sterile da parte dei politici il vomitarsi addosso reciprocamente colpe e responsabilità con le comparsate televisive dei soliti volti noti. Siamo giunti alla resa dei conti per un Paese in ginocchio ed è tempo di guardare in faccia la realtà, di prendere consapevolezza del presente per delineare chiaramente un futuro che non riguarda solo il nostro tafazziano e meraviglioso Paese, bensì quello dell’Europa.
Numeri alla mano, la stagione tecnica del rigore montiano si è conclusa  con un fallimento. Cosa ci ha insegnato? Sostanzialmente una cosa: la salute del sistema Italia non migliora approcciando alla questione del rapporto deficit / pil solo dalla parte del numeratore, pensando che il denominatore possa poi aumentare motu proprio. La conseguenza di questa miope illusione, che non ha assolutamente considerato il fattore tempo, è una falcidia delle piccole e medie imprese italiane, massacrate dall’ovvia conclusione di tale politica economica, ovvero un calo di consumi interni che oggi sta portando alla progressiva desertificazione delle imprese manifatturiere e commerciali.
Inutile guardare oggi al modello tedesco. La rielezione della Sig.ra Merkel conferma il fatto che la Cancelliere ha agito, come è giusto che sia, nell’interesse dei suoi concittadini che l’hanno premiata rinnovandole la fiducia.  Tuttavia  – sarà banale ma oggettivamente è così – la Germania non è l’Italia: faremmo bene a prenderne atto. Quel paese, da grande malato agli inizi degli anni duemila, ha saputo approfittare della moneta unica, ha attivato una politica di riforme strutturali ed è ripartito. Oggi la locomotiva d’Europa vorrebbe trascinare i vagoni dei paesi più deboli a seguirne l’esempio. Dimentica però che la rete ferroviaria – la situazione macroeconomica -  è cambiata: l’alta velocità imposta dalla crisi e dalla globalizzazione impone che i vagoni meno attrezzati abbiano la possibilità di adeguarsi senza correre il rischio di deragliare. In altre parole, senza tornare sulle loro storiche ed oggettive responsabilità, possano mettersi in condizione di rimettere in moto la loro economia, agganciare i timidi segnali di un venticello di ripresa per poter tornare a crescere. Onde evitare di ripetere l’errore dei tecnici, anche in questo caso è bene rimarcare che il fattore tempo a disposizione è fondamentale, vitale direi.
Crescita diventa quindi la parola d’ordine. A meno che qualcuno non pensi che la porti la cicogna o la si trovi sotto un cavolo, dobbiamo essere consapevoli che senza risorse ed investimenti e, soprattutto, senza una significativa riduzione delle tasse su imprese e diminuzione del costo del lavoro – cuneo fiscale – la ripresa non sarà possibile. Tuttavia, dicevamo, la coperta è troppo corta: pochissimo fieno in cascina ed i parametri imposti dalla Comunità Europea, allo stato, non ci consentono alcuna libertà d’azione.
Dunque, che fare? Due sono le alternative, a patto di voler osservare razionalmente ed in modo pragmatico la realtà e non trastullarci in ulteriori perdite di tempo. La prima: osservare pedissequamente le direttive imposte, rigidamente ancorati su parametri che, sebbene condivisibili in astratto, prolungano di fatto l’agonia del malato con una terapia inefficace di piccoli tagli di spesa e interventi annacquati che porteranno solo ad una inevitabile continua necessità di nuove entrate, maggiori imposte ed austerità. Così facendo, l’unica conseguenza sarà quella che a breve ci ritroveremo senza imprese, ovvero privi del supporto sul quale poter contare per creare nuova ricchezza, ovvero crescita. A mio avviso, un cortocircuito perverso che altri paesi come Stati Uniti e Giappone, hanno da tempo intuito ponendovi rimedio con incentivi che stanno portando i loro frutti. Giova ricordare ed avere ben presente che tali paesi, insieme alle ex economie emergenti oramai realtà emerse da tempo, sono quelli con i quali dobbiamo confrontarci e competere sul mercato globale, non solo come Belpaese, bensì come Europa!
La seconda è quella di affrontare la situazione guardando in faccia i nostri partners europei, in particolare la Germania, dicendo loro chiaramente che, rispettando le condizioni che avevamo a suo tempo sottoscritto in modo avventato, semplicemente ma realisticamente non ce la facciamo ed abbiamo bisogno di allargare i cordoni della borsa. Si badi, non per spendere, ma per investire: c’è una grandissima differenza. E per essere credibili occorre che il Governo e la maggioranza che lo sostiene non pensi ad iniziative di piccolo cabotaggio, ma che predisponga un serio programma pluriennale che, insieme a massicci tagli di spesa, diminuzione del cuneo fiscale e delle imposte che pesano sulle imprese e sulle famiglie, possa liberare risorse e far riprendere gli investimenti senza i quali non ci può essere crescita. Deficit di bilancio, debito pubblico sono rapporti e numeri che perdono di significato se viene a mancare la capacità di produrre ricchezza, ovvero il pil: è elementare ed inevitabile che crescano se il denominatore non cresce.
Se l’Europa davvero intende proseguire nel suo disegno federalista, dovrà inevitabilmente prenderne atto: in una geografia economica globalizzata, non ci sono alternative se non quella di un misero e triste fallimento con ovvie conseguenze nefaste per le prossime generazioni di cittadini europei, tedeschi inclusi.

venerdì 20 settembre 2013

Perché Renzi, Grillo e pure i magistrati sono berlusconiani…


19 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.news
Perché Renzi, Grillo e pure i magistrati sono berlusconiani...
Siamo tutti berlusconiani, nonostante il fallimento delle passate azioni di governo di Silvio Berlusconi, peraltro ammesse dal diretto interessato. Ed è un paradosso tragicomico, ma solo all’apparenza.
Sono berlusconiani i suoi principali avversari, quelli rappresentati da una sinistra litigiosa ed inconcludente che, nelle immediate dichiarazioni del suo segretario, ancora una volta manifesta tutta la miopia e l’inconsistenza politica di un partito che negli anni è riuscito divinizzare la figura di un politico rendendolo un martire perseguitato agli occhi dei suoi fedeli. Più volte abbiamo avuto modo di ribadire l’aspetto fideistico che lega il Cavaliere ai suoi milioni di elettori e più volte i leader che si sono succeduti alla guida di quella parte cattocomunista ci hanno sbattuto il muso, ottenendo solo il risultato di romperselo.
E lo stesso Renzi, capace solo un anno fa di riscuotere simpatie anche tra i fedeli di Arcore, ha poi virato nella sciagurata direzione di commettere il medesimo errore. Lusingato e illuso dagli endorsement ricevuti dall’apparato gerarchico, soddisfatta la sua legittima quanto smisurata ambizione, pare non accorgersi che andrà a pescare nello stesso stagno dove si sono dilettati i precedenti segretari: bene che gli vada, prenderà i soliti pesci per poi fare la fine dei suoi miseri colleghi.
Grillo? Avendo sprecato l’occasione del successo elettorale, il suo movimento si è avvitato in azioni da movimento adolescenziale, non capendo ancora oggi, a distanza di mesi, che il Parlamento non è una assemblea liceale. Alla fine, è il più berlusconiano di tutti.
Sono politicamente berlusconiani i giudici che hanno condannato il Cavaliere. Senza tornare nel merito delle sentenze o della stucchevole questione sulla legge uguale per tutti dei bacchettoni moralisti, è innegabile la sensazione sempre più diffusa tra i cittadini di un uso strumentale delle condanne inflitte per fini politici. Berlusconi ne è consapevole: sondaggi alla mano, il consenso di cui ancora gode nonostante le vicende che sta vivendo, non è semplicemente spiegabile solo con il fideistico rapporto di cui sopra. E da gran comunicatore quale è, le ha sfruttate e ne farà un pilastro della rinnovata Forza Italia di antica e nostalgica memoria per la sua futura battaglia personale e politica.
Il grande venditore – ed è un complimento dato che saper vendere è un talento ai più negato  - saprà poi venderle al popolo. E’ opportuno ricordare che fu proprio a causa della prima sentenza Mediaset che un Silvio Berlusconi fino ad allora intenzionato e disponibile a farsi da parte, dichiarò in una tesa conferenza stampa a Villa Gernetto, la sua decisione di voler affrontare in prima persona una nuova campagna elettorale. A quel tempo, i sondaggi davano il suo partito intorno al 12 per cento. Come sono andate poi le cose è all’evidenza di tutti, sostenitori ed avversari.
Sono berlusconiani persino i suoi avversari che appartengono a quell’area moderata – definizione oggi peraltro terribile, noiosa e priva di senso – provenienti dalla medesima storia e sensibilità culturale, costretti oggi all’irrilevanza politica a seguito di un fallimento annunciato e previsto. Sarà davvero curioso vedere come reagiranno alle parole del videomessaggio di Berlusconi: Il peso dello Stato, delle tasse, della spesa pubblica è eccessivo: occorre imboccare la strada maestra del liberalismo che, quando è stata percorsa, ha sempre prodotto risultati positivi in tutti i Paesi dell’Occidente: qual è questa strada? Meno Stato, meno spesa pubblica, meno tasse”.
Leggendolo con il paraocchi del pregiudizio, con il vizio di pensare al futuro guardando allo specchietto retrovisore o, peggio ancora, barricandosi dietro alle vicende personali del Cavaliere degli ultimi vent’anni, sforzandosi solo nel tentativo di prenderne il posto, commetteranno l’errore maldestro ed imperdonabile già fatto nel recente passato. Paradossale sentire autoproclamarsi paladini della necessità di riformare il Paese – peraltro evidente –  da chi poi fa di tutto per avere percentuali da farmacista in Parlamento.
L’Italia ha bisogno di una nuova Margaret Thatcher, ma nemmeno la Lady di Ferro avrebbe potuto fare ciò che ha fatto se non avesse avuto i numeri dalla sua parte. Troppi, nel panorama politico italiano riconducibile all’area liberale di centrodestra, sembrano dimenticare una vecchia ma sempre valida regola: in democrazia, chi governa ha sempre ragione. Nel caso, si dovrebbe invece pensare a come mettere chi governa nelle condizioni di poterlo fare davvero, mentre da noi le coalizioni si sono tristemente rivelate solo ingannevoli ed improduttive alchimie elettorali. Ma questo è un altro discorso.
In conclusione, perde quindi di significato la questione sulla decadenza ed incandidabilità se non per quanto attiene la sfera privata degli affetti e dei diritti politici del cittadino Berlusconi. Il vecchio e combattivo leone non ha aspettato che altri chiudessero un’epoca: lo ha fatto lui e, contestualmente, ne ha aperta una nuova. Ovviamente, non nella maniera che molti suoi avversari speravano, ovvero rassegnandosi al suo destino di esule in quel di Arcore, in pomeriggi trascorsi a passeggiare nel parco, pensando magari ai soli bisognini di Dudù. Il leader, ancora una volta, ha estratto il fazzoletto dalla tasca, ha ripulito la sedia e, con Forza Italia, ritorna al futuro. Con buona pace dei vari Travaglio.
L’auspicio è che i berlusconiani, sia i consapevoli sia quelli a loro insaputa, ne prendano semplicemente atto.

lunedì 16 settembre 2013

Berlusconi e Ilva, quando la politica pensa al passato


13 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
Berlusconi e Ilva, quando la politica pensa al passato
Il principio di causalità non si applica solo alle leggi della fisica, ma anche alla sequenza di azioni e situazioni che costellano la nostra vita. Nasce dall’idea che i fenomeni si susseguano unicamente in un processo di causa/effetto, mentre tutto ciò che non risponde a questa legge è dovuto al caso o al libero arbitrio. In base a questo principio la nostra situazione attuale dipende dalle cause che abbiamo posto nel passato, così come dalle cause che poniamo nel presente dipenderà la nostra situazione futura.
Naturalmente, se diamo per pacifico questo teorema, non sarà solo a causa delle azioni che personalmente o collettivamente abbiamo creato in passato che dipende la nostra situazione nel presente, essendo in ogni caso influenzata da ciò che altri hanno fatto.
In ogni modello di società, gli individui si sfruttano reciprocamente per soddisfare i loro bisogni: un imprenditore rischia il proprio capitale e trae profitto dal lavoro dei suoi dipendenti che, a loro volta, sfruttano l’iniziativa del primo ottenendone in cambio una retribuzione. I rapporti sono poi necessariamente regolati dalle leggi, in quanto, per istinto, ognuno tende a far privilegiare i propri interessi, singolarmente o organizzandosi in gruppi, trovando però i perimetri della libertà d’azione nelle regole della morale o imposti dalla forza coatta delle norme giuridiche.
Quindi, applicando il principio di causalità alla società italiana, in particolare alle questioni legate a Silvio Berlusconi ed alla vicenda tragica nel contempo tafazziana della Riva Acciaio – Ilva – è possibile rendersi conto che l’effetto negativo che impatta sull’intera collettività, seppur a due diversi livelli, ha una precisa ragione: l’incapacità di vivere il presente e perpetuare il dibattito ai vari livelli, mass media e istituzionale, esclusivamente sul passato: la vicenda politica e personale del Cavaliere o sugli orrori commessi a Taranto prima dalla pubblica amministrazione e poi dalla famiglia Riva. Ora, la questione è come uscire e superare tale effetto, non di discuterne all’infinito la causa.
Non ha senso vivere recriminando sul passato dell’Ilva o, nel caso del Pd, crogiolarsi nell’attesa della fine di un avversario politico, peraltro diventato negli anni un’ossessione. In entrambi i casi, dato che non è possibile modificare il passato, sarebbe opportuno concentrarsi sul presente per non rischiare di creare ulteriori e maggiori danni futuri.
Viviamo un momento talmente delicato che il comune buon senso dovrebbe suggerire a tutti noi che l’interesse generale del Paese e quello particolare dei lavoratori della Riva Acciaio, richiederebbero soluzioni e misure straordinarie così come sono eccezionali le situazioni di entrambi.
Lo stato di bisogno impone un colpo d’ala a chi di dovere – Presidente Napolitano e Governo – che non rientra nelle questioni di normale amministrazione, ruoli e compiti istituzionali costituiti. Le imprese ed i lavoratori vivono una battaglia quotidiana contro la crisi economica, mentre la politica italiana ha combattuto una guerra fredda per oltre venti anni che certamente non finirà a colpi di sentenze e con le dimissioni eventuali o la decadenza di Berlusconi. Così come, per l’Ilva, il licenziamento di 1400 dipendenti non bonificherà l’area di Taranto e non restituirà la salute ai suoi cittadini.

Meglio il libero arbitrio di due istituzioni – Presidenza della Repubblica e Governo – mediante una azione forte ed autoritaria che trascenda le decisioni di un ordine dello Stato e tiri così una riga, gettando le basi per la fine della dittatura di una democrazia parlamentare che da tempo ha rinunciato, non senza una buona dose di masochismo e di ipocrisia, ad esercitare il suo potere. Poi potremo finalmente pensare a come diventare un Paese normale, magari iniziando a riscrivere alcune delle regole di base oramai inadatte e segnate dal tempo.