venerdì 25 ottobre 2013

Cari Renzi e Alfano, cosa volete fare da grandi?


22 - 10 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
Cari Renzi e Alfano, cosa volete fare da grandi?
La sintesi finale sarà un nuovo bipolarismo, probabilmente destinato a sconfiggere la protesta inconcludente di Grillo e a decretarne la fine.
Con tutte queste correnti all’interno dei partiti, chi frequenta il Parlamento corre seriamente il rischio di buscarsi un malanno. E visto che di politica stiamo parlando, la malattia più temuta dall’onorevole o senatore indigeno è quella che lo debiliti a tal punto da escluderlo dalla prossima campagna elettorale. L’istinto di sopravvivenza è innato in ogni essere vivente, figuriamoci poi in quelli che per vocazione, ideali o opportunismo si ritrovano a rappresentare la nazione in un consesso istituzionale. Da qui nasce il sospetto che le accese discussioni, gli appelli pro e contro la stabilità di governo, i manifesti di novelli candidati alla guida di un partito, siano dettati più dall’esigenza dei singoli di ritagliarsi un angolo di paradisiaca visibilità mediatica, una sorta di viatico per il futuro, che non per una questione di principi e idee divergenti su di uno specifico argomento.
Gli abili sforzi da equilibrista esperto qual è, costringono il premier Letta a dare un calcio al cerchio ed uno alla botte con il risultato finale di scontentare tutti, dai partiti che lo sostengono alle associazioni di categoria. Ma è un governo delle larghe intese, frutto di un voto dei cittadini italiani che pone poche alternative, anzi nessuna dato che a breve la Consulta dovrà esprimersi sulla costituzionalità delle legge elettorale in vigore, mentre è di tutta evidenza che l’attuale schieramento parlamentare ben difficilmente riuscirà a partorire qualche altra proposta che non sia un ennesimo pastrocchio. Viviamo una situazione surreale di alchimie politiche, con personaggi in cerca d’autore – leggi leader – ed altri che ambiscono ad esserlo, altri ancora che scoprono quanto la politica sia dura e difficile e non basta essere professori per non inciampare nei fili invisibile che quotidianamente vengono tesi. E’ il caso di Monti, un marziano da salotto che nell’arena non avrebbe dovuto mai scendere e che ora si ritrova a parlare di un cagnolino e a puntare il dito verso quel Letta che solo una settimana fa aveva elogiato in Senato nel suo intervento a favore della fiducia. Una misera fine.
E mentre uno sparisce, altri si propongono. Alcuni come Renzi con indubbia capacità d’espressione, ma con programmi che non chiariscono, al di là di una dose massiccia di populismo, che cosa propone, o meglio a chi si rivolga: ha ragione un vecchio democristiano come Pomicino quando afferma che quello del sindaco è un manifesto che potrebbe essere votato dalla Santanchè come da Grillo. Di tutto un po’ va bene per taluni ambienti e determinati momenti, ma poi alla resa dei conti, resterà da vedere come potrà rivolgersi agli azionisti di maggioranza del suo partito e, in particolare, se sarà sufficientemente vaccinato per resistere…
Dall’altra parte Alfano è il delfino combattuto tra l’amore dei voti del padre e l’ambizione personale che è giusto che ci sia. L’esperienza passata dovrebbe avergli insegnato qualcosa, quindi non stupiscono i suoi proclami di fedeltà e riconoscimento del ruolo di Silvio Berlusconi:il vecchio leader sarà pure acciaccato dagli attacchi togati, ma il segretario del Pdl è ben consapevole che senza il suo imprinting le urne del centrodestra rischiano di essere scarne alla prossima chiamata. D’altronde, anche vecchie volpi della politica come Casini e Mauro lo hanno ben capito.
Quindi, mantenere la calma: è inutile agitarsi. Il governo Letta naviga in acque turbolente ma è ben attrezzato per stare a galla e, al di là delle dichiarazioni di facciata, tutti i partiti trasversalmente sono impegnati a guadagnar tempo per darsi una nuova fisionomia. La sintesi finale sarà un nuovo bipolarismo, probabilmente destinato a sconfiggere la protesta inconcludente di Grillo e a decretarne la fine. Ma ciò che preoccupa, date le esperienze passate, è che si cada ancora nell’ennesimo errore di coalizioni ed alleanze elettorali che poi si sciolgono dopo il voto, lasciando il Paese nella consueta impossibilità di essere davvero governato.
Insomma, il solito disco rotto dei facili proclami e delle chiacchiere ma di poca valenza pratica, che potrà smettere di gracchiare solo quando si cambieranno le regole del gioco. E non attraverso una nuova legge elettorale, ma quelle di fondo, ovvero si giunga grazie alla riforma della Costituzione ad un vero cambiamento che porti il modello di democrazia parlamentare a quello presidenziale. E’ tempo che questa giovane Repubblica Italiana decida cosa vuole essere e cosa voglia fare da grande.

martedì 22 ottobre 2013


Davvero bella la manovrina da governicchio…


17 - 10 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 

Lasciamo che altri, più esperti, scrivano nel dettaglio dei pregi ed dei difetti della Legge di stabilità. Lasciamo pure che il dibattito politico si accenda e si spenga con le consueta velocità di una fiammata e si esaurisca poi nelle solite effimere discussioni dei talk show serali. Chiudiamo un occhio sulla sgangherata maggioranza che sostiene il governo e tutti e due sulle sbalorditive dichiarazioni di molti ministri e sottosegretari che lo compongono.

Ma due  considerazioni due sulla percezione di ciò che accade sia consentito farle. La prima, sul significato di stabilità. In premessa, corre l’obbligo di fare i complimenti a Letta perché sta interpretando benissimo il senso della parola e lo applica letteralmente alla sua azione di governo: è ferma, costante ed inalterata nel tempo. Già, peccato però che queste caratteristiche mal si rapportino con lo stato disastroso dell’economia reale del nostro Paese che di ben altre parole, azioni e, soprattutto, atteggiamento avrebbe bisogno. Difficile credere, anche per i più fiduciosi ed ottimisti, che le mezze misure proposte  – vedremo poi il come si svolgerà il dibattito nelle aule parlamentari  – possano sortire un qualsivoglia beneficio per imprese, famiglie e consumi nel prossimo anno. Il comandante Letta, seguendo le indicazioni di rotta che provengono dalla torre di controllo di Bruxelles, è ancora convinto di pilotare un aliante che può sfruttare le correnti – ripresa – per volare. Ostinatamente mantiene la direzione, ma non si accorge che il suo è invece un aereo a motore ed il carburante (leggi imprese e consumi) è in riserva da oramai troppo tempo. Una volta finito, rischia di andare a sbattere contro una montagna invece di superarla alzando i giri del motore.
La seconda riguarda gli effetti presumibilmente depressivi che tali incertezze e mezze misure determinano sul comune percepire della gente, in particolare sugli imprenditori ed investitori. Fa sorridere una dichiarazione del ministro Saccomanni che tra i pregi della Legge di Stabilità individua la “certezza” che essa propone per il prossimo trienno: ma dove la vede? Basti notare nella bozza, tra le varie fumose ed incerte coperture indicate sulle quali, come detto, lasciano ad altri più esperti ogni commento tecnico, il susseguirsi di ipotesi alla voce “o in alternativa”. Che significa se non la palese e rassegnata confessione di aver poche idee, peraltro confuse ed aleatorie?  Si pensa davvero che imprenditori ed investitori sani di mente possano trarre da queste premesse quella spinta motivazionale necessaria per credere ancora nella potenzialità del sistema Italia? Pare davvero il governo degli illusi, o peggio, degli sprovveduti.
A meno che, machiavellicamente pensando, quella che doveva essere un’opportunità  di chiudere ogni discussione effimera per mostrare l’essenza di un vero governo del fare, non si riveli l’ennesima dissimulazione di un governicchio con ben altre ambizioni, che nulla hanno a che fare con i reali bisogni del Paese. In questo caso, la stabilità di galleggiamento avrebbe un altro lecito sebbene miserevole e triste significato, ovvero quello di prendere tempo per costruire una nuova operazione politica, diventando così solamente una sorta di grande inganno. A pensar male … ci si azzecca.

giovedì 10 ottobre 2013

Verità e amnesie su Forza Alitalia di Berlusconi


09 - 10 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net

Verità e amnesie su Forza Alitalia di Berlusconi
Alitalia è ancora una volta sugli scudi: perdite per centinaia di milioni e pochi soldi in cassa, così scarsi da dover ricorrere al credito dell’Eni per fare il pieno ai propri aerei. Basteranno ancora per pochi giorni, poi tutti a terra e si aprirà un ennesimo nuovo capitolo.
Al momento, la situazione sembra molto confusa, con fantasiose soluzioni di merger tra partecipate pubbliche, ipotesi di interventi poi smentiti della Cdp, interessi di altre compagnie extra europee, aumenti di capitale da parte degli attuali azionisti, in particolare Air France Klm.
Vedremo come andrà finire, con l’auspicio che almeno questa volta, la politica ed il governo italiano facciano tutto quello che possono per il buon fine della vicenda, ovvero ne stiano semplicemente fuori. Speriamo che anche i sindacati abbiano imparato la lezione dalla precedente tragicomica transazione del 2008 e si comportino di conseguenza, evitando cioè di sollevare barricate costruite però con i mobili dei lavoratori.
Gli errori del passato
A proposito di Air France Klm e di come a suo tempo siano stati commessi molti errori che hanno portato la compagnia di bandiera ad essere ceduta per un tozzo di pane –  a spese dei contribuenti  - ad una cordata italiana di imprenditori e banche guidata da Airone, capita di leggere da più parti ricostruzioni dei fatti che viziano, almeno in parte, la realtà storica, imputandone la responsabilità, guarda caso, al solo Silvio Berlusconi.
La realtà diversa dalle idee
Ma a ben guardare i fatti, la realtà è ben diversa. Se proprio di colpe dobbiamo parlare, per onestà intellettuale queste dovrebbe essere quantomeno suddivise tra i vari attori,- Air France su tutti – lasciando al Cavaliere il solo peccato essersi adoperato in prima persona per favorire la costituzione di quel consorzio, sostenendo (opinione personalissima di chi scrive) una inutile quanto obsoleta idea che avrebbe meglio tutelato l’identità nazionale della compagnia aerea e di aver poi utilizzato tale vicenda ai fini di promuovere la sua campagna elettorale. Promozione personale e comunicazione: viene da dire che in questo genere di attività è stato talmente bravo da pagarne oggi le conseguenze nella memoria collettiva di quella vicenda.
Le molte e molteplici colpe
Nel merito, trascendendo le più antiche questioni sull’allegra gestione storica della compagnia, basta guardare ai fatti con occhi non viziati da pregiudizi personali o di convenienza politica, per rendersi conto che, dopo la decisione del dicembre 2007 presa all’unanimità dal Cda Alitalia, di avviare la trattativa in esclusiva con Air France-Klm per la vendita della quota del 49,9% allora detenuta dal Tesoro, la faccenda è stata gestita con il concorso di colpa dei molti soggetti coinvolti e condizionata peraltro anche da fattori esterni.
I sostenitori di Air France
Tra i sostenitori dell’acquisizione da parte della compagnia transalpina, spiccavano l’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, sostenuto dal suo ministro dell’economia Padoa Schioppa. Più ambigua la posizione del ministro per lo sviluppo economico Bersani che, rispondendo ad un comunicato diffuso da AirOne subito dopo la delibera del Cda Alitalia (con il quale la compagnia italiana chiedeva di poter comunque presentare un proprio piano direttamente al governo per un esame approfondito dei suoi aspetti industriali, finanziari e delle sue implicazioni nel Sistema Paese) manifestava una certa inclinazione per la soluzione italiana, pur non ritenendola pregiudiziale.
I sostenitori dell’italianità
All’opposto, tra i più convinti sostenitori della via AirOne, spiccavano oltre al leader dell’opposizione, il citato Silvio Berlusconi, il vice premier Rutelli, l’allora Amministratore Delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, infine il Presidente di Confindustria Luca Montezemolo. Alla fine, il governo Prodi si riservò di decidere. In sintesi, parecchie opinioni e visioni divergenti, sostanzialmente molta confusione negli intenti.
I piani dei francesi
Senza voler scendere nei dettagli della proposta d’acquisto formulata da Air France, che prevedevano tra l’altro investimenti per diversi miliardi di euro nel lungo termine, il progressivo rinnovo della flotta e presunte sinergie operative, giova ricordare che il prosieguo della trattativa, era ovviamente subordinato alla preventiva approvazione dei sindacati. Passano le settimane ed arriviamo così all’aprile del 2008, nel frattempo i premier Prodi viene sfiduciato.
Le amnesie dei sindacati
Al termine di una lunga riunione con i sindacati, avviene la rottura: Air France dichiara per bocca del suo presidente Spinetta che, a seguito delle richieste avanzate, ritenendole incompatibili per un ritorno della compagnia italiana alla redditività, non ci sono più le condizioni per andare oltre. Il capo della Cgil, Gugliemo Epifani, oggi segretario del Pd, gli risponde che la proposta non era accettabile per il livello di esuberi richiesto, non c’erano adeguate garanzie per l’area di Alitalia Servizi, per il futuro dei suoi dipendenti, quello di Malpensa e per il settore della manutenzione. Posizioni inconciliabili che portano a dure critiche da parte di Romano Prodi, premier dimissionario,  nei confronti dei sindacati ed alle secche repliche di quest’ultimi, in particolare di Epifani. Entrambi, però, non perdono occasione “di buttarla in politica”  rivolgendo critiche verso l’atteggiamento pro AirOne assunto dal vincitore delle elezione,  Silvio Berlusconi, dimenticandosi però tutti gli altri…
Un sospetto su Air France
Nondimeno, sull’atteggiamento di Air France sorge il sospetto che le diatribe nostrane e l’ostruzione dei sindacati abbiano in realtà consentito a Spinetta un’agile quanto repentina uscita di sicurezza da una situazione piuttosto complicata e difficilmente comunque sostenibile.
I numeri del tempo
Occorre ricordare che anche la gestione Air France non presentava numeri d’eccellenza, con utili in picchiata e previsioni future altrettanto negative. Incombevano ai tempi le prime nere nubi della crisi, con un prezzo del petrolio che aveva raggiunto i 135 dollari al barile mentre il piano industriale predisposto dai francesi si basava su una quotazione molto più bassa, intorno agli 80/85 dollari a barile. Date poi le sempre più precarie situazione di Alitalia, non si può non pensare che il buon Spinetta, lecitamente peraltro,  confidasse nell’ipotesi di un sicuro fallimento di Alitalia: in quel caso sarebbe stato estremamente più conveniente chiudere l’operazione con ovvii benefici per i francesi.
Che cosa succederà
Come sono poi andate a finire le cose è noto a tutti. In queste ore si apre un nuovo capitolo sul futuro della tafazziana avventura di Alitalia che certamente non vedrà protagonista Silvio Berlusconi. A meno che, anche questa volta, qualcuno non si riesca a far passare comunque la stravagante idea di un Cavaliere attore principale che influenza a prescindere: data la storia recente e le esperienze passate, non ci sarebbe poi così tanto da rimanere stupiti. D’altronde, anche il riscaldamento globale del pianeta e lo scioglimento dei ghiacci non sono forse opera sua?

mercoledì 9 ottobre 2013

Letta-Alfano, governicchio o vero governo del fare?


07 - 10 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net

Aprite le porte e fate squillare le trombe. Fate largo al nuovo che avanza e guai a chiamarlo con il nome di un bianco cetaceo: forse qualcuno dei presunti novelli dorotei potrebbe offendersi, ma certamente molti tra coloro che la fondarono nel 1942 lo prenderebbero come un insulto.  Già, la Democrazia Cristiana: fosse ancora in vita, il grande Giulio Andreotti ci avrebbe sicuramente deliziato in queste ore con le sue celebri battute.
Magari, prendendone a riferimento una famosa, potremmo dire che il governo logora chi non riesce ad ottenerlo con il confronto democratico, nell’urna, ed allora è costretto ad affidarsi ad altre vie. Oppure che le larghe intese logorano i partiti, dato che condizione necessaria per la grande pacificazione di governo dovrebbe essere supportata dalla logica elementare di una necessaria intesa preliminare all’interno dei partiti che la sostengono. Tant’è, vivendo nel Balpaese dove ogni stravaganza politica è possibile in nome del benessere collettivo, salvo poi fare di tutto tranne che definire e comprendere chiaramente quale sia la ricetta giusta per raggiungerlo ‘sto benedetto benessere, di fatto ci si ritrova a distanza di mesi dalle ultime elezioni ancora con mille domande, molte dichiarazioni di buoni propositi, tante scuse, alcune giustificazioni ed un sostanziale poco di fatto.
Dopo una settimana convulsa, di votazioni di fiducia surreali, il teatrino romano sembra aver riaperto il sipario: da una parte si scalpita per la successione – ammesso ma non concesso che il monarca sia politicamente morto – dall’altra ci si interroga su cosa sia realmente accaduto, lanciando nel frattempo puerili appelli alla controparte affinchè abbandoni  il leader al suo mesto destino.
Persino il saggio e capace Letta, gabbato all’ultimo minuto da Berlusconi, abbandona la cautela ed il suo proverbiale equilibrio con dichiarazioni frutto più di una malcelata frustrazione che di un convinto ragionamento politico. Ed il suo vice, Alfano, che conosce i difetti del Cavaliere ma ancor di più la sua tempra, le sue virtù e soprattutto il suo peso presso l’elettorato di riferimento, esibisce davvero il proprio quid intelligente bloccando sul nascere ogni interferenza esterna nelle vicende del partito, così come, all’interno, ha saputo sia spegnere i bollori di quattro gatti separatisti  in cerca di gloria e rinnovata ribalta personale, sia la follia di alcuni cortigiani preoccupati più del loro destino che dell’interesse del leader.
Vedremo nei prossimi giorni se il governo Letta, quella che ho sempre pensato fosse la miglior soluzione nella peggiore delle situazioni possibili dopo il voto di febbraio,  sarà un governicchio di sola facciata, ovvero una cortina fumogena che maschera ben altri obiettivi di nuovi scenari centristi e paludosi, oppure si rivelerà davvero un governo del fare, consapevole della necessità di andare in Europa a chiedere maggiore flessibilità in cambio di un serio programma di tagli e riforme. Confido nella seconda, speranzoso ed ottimista nell’attesa che si prenda poi consapevolezza della necessità di cambiare le regole per arrivare, finalmente direi, ad un sano e vero bipolarismo dell’alternanza  –  e di premier  – che possano davvero governare senza subire inevitabili stop and go da maggioranze frutto di sterili alleanze elettorali e delle tragiche e tafazziane contingenze post voto. Solo allora potremo parlare seriamente di crescita e benessere collettivo, valutando prima le diverse ricette e poi, una volta scelto il menù proposto dai partiti, lasciare che lo chef possa cucinare il piatto senza che nessuno si affanni continuamente a spegnere il fornello durante la cottura. E se il piatto non dovesse poi piacere? Semplice, si cambiano sia il menù sia lo chef.