venerdì 29 novembre 2013

Berlusconi e Legge di Stabilità, due misfatti in un giorno solo


28 - 11 - 2013Romano Perissinotto

Ed ora che succede dopo il misfatto?
Non mi riferisco all’ipocrita giornata vissuta ieri a Palazzo Madama, dove un’assemblea di nominati ha votato decadenza di Silvio Berlusconi. Tutto si è svolto come ampiamente previsto dal Cavaliere, non c’era assolutamente nessuna possibilità che l’acclarata stupida miopia dei suoi avversari – meglio sarebbe chiamarli nemici (cit.) – sparisse d’incanto e portasse così ad una soluzione di buon senso. Ci torneremo più tardi.
E’ la votazione di fiducia della legge di stabilità, soprattutto nei tempi e nei modi a rappresentare un misfatto. Sarebbe stato divertente chiedere ai senatori assonnati e distratti che nelle notte l’hanno approvata se, data l’importanza che riveste, fossero a conoscenza di che cosa stessero votando. Ma tutto passa nell’indifferenza in un Paese spompato e angosciato, dove la benzina dei consumi è in riserva secca, le imprese annaspano e qualche ministro illuso – o in altre faccende affaccendato – spaccia per antibiotici anti crisi i piccoli e modesti interventi di quello che oramai, purtroppo, si è definitivamente rivelato come un governicchio di stabilità, intesa però come immobilismo e non come condizione necessaria e responsabile per l’agognato interesse nazionale. Ben altro dovrebbe essere l’interesse nazionale e nondimeno meglio rappresentato laddove è possibile a farlo, in Europa.
Ma il governicchio è pavido, una sorta di Godot che aspetta il treno della ripresa, si contraddice per mesi, spesso straparla per bocca dei suoi ministri, pomposi annunci poi smentiti in un tira-e-molla fatalmente coatto data l’insipienza dei suoi esponenti e la palese fragilità dimostrata dalle larghe intese, infine redige un documento, il più importante… stabilmente inadatto ed irresponsabilmente approvato con tempi da qualifica degni della pole position di un gran premio di formula uno.
Ma tant’è, altre erano le esigenze e la discussione ritenute importanti ed ineluttabili: c’era da rispettare la scadenza principe, quella al di sopra di ogni altra priorità, persino dell’interesse nazionale: la decadenza di Berlusconi. Ecco il vero misfatto della due giorni vissuta al Senato: le soluzioni proposte dal Governo con la legge di stabilità non meritavano di essere discusse e vagliate a fondo, a ben altri ineludibili compiti erano chiamati i signori senatori della Repubblica.
Così era stato voluto e programmato dal Colle, così la giornata è stata gestita dal presidente Grasso come una grottesca apoteosi dell’ipocrisia dilagante che passerà alla storia quale una delle più imbarazzanti e per molti aspetti tragiche ed insieme ridicole della vita parlamentare. Peraltro, la conseguenza paradossale per i suoi nemici è che l’unico sopravissuto a questa giornata infelice sarà proprio lui, il Cavaliere che hanno fatto decadere dallo scranno parlamentare ma rimesso in sella come e più di prima, pronto a cimentarsi ancora e da par suo nell’eterna battaglia dei consensi.
Lo spirito sadomasochista dei talebani senatori della sinistra e gli ormoni impazziti degli adolescenti grillini,  paladini di un equivoco di fondo che identifica una sentenza di tribunale con la giustizia, hano avuto ieri la possibilità di procurare loro un orgasmo collettivo atteso da vent’anni, ma che si è già rivelato come una eiaculazione precoce nel soddisfare le esigenze di una democrazia e di una nazione che ben altre virili prestazioni e soddisfazioni avrebbe bisogno. Si consumavano all’interno del palazzo, rendendosi consapevoli (a coito oramai avvenuto) della loro modesta ed indegna figura, si guardavano infine negli occhi cercando conforto reciproco, timorosi per l’effetto boomerang  che avevano messo in moto.
Intanto, a distanza di poche centinaia di metri si rafforzava un vecchio legame tra un condannato decaduto e la sua gente, si chiudeva una vita istituzionale per aprirne una nuova. E’ il terzo capitolo di un’araba fenice brianzola che, salutando commosso al grido finale “andiamo avanti”, dava un doppio appuntamento ai suoi adepti ed agli avversari – pardon nemici – per le prossime scadenze elettorali: ci vediamo alle europee, probabilmente anche prima

lunedì 4 novembre 2013

Saccomanni dice un sacco di frescacce sul contante


30 - 10 - 2013Romano Perissinotto
Saccomanni dice un sacco di frescacce sul contante
Ascoltare alla radio il ministro Saccomanni fare il punto sulla legge di stabilità mentre stai guidando in autostrada sotto un nubifragio autunnale che nulla ha da invidiare a un temporale estivo, rafforza la percezione – peraltro diffusa – che l’Italia non sia un Paese normale. Quando poi ritorna sulla sterile e noiosa questione dei limiti all’uso del contante, sopraggiunge dapprima una sensazione di scoramento che si trasforma subito dopo in una esclamazione liberatoria del tipo “ma va a… stare nel mondo reale”.
Davvero sono ancora a discutere sulla questione? Ancora la libera circolazione del contante è considerata dal ministro come la madre di tutti i problemi legati all’evasione fiscale e il ridurne l’uso come la panacea dei conti pubblici dello Stato? Delle due, l’una: o il ministro ingenuamente ci crede davvero, oppure siamo di fronte ad un ennesimo grande inganno. In ogni caso, dimostra agli italiani di essere inadeguato al ruolo, come peraltro gli era già successo in occasione di sue precedenti inopportune e intempestive dichiarazioni.
Credere che l’utilizzo della moneta elettronica, quindi la tracciabilità delle transazioni, possa risolvere il fenomeno dell’evasione domestica è un non senso ridicolo, rivelatore dell’incapacità congenita di percepire la realtà terrena, tipica di chi, vissuto sulla luna, è chiamato a gestire ciò che accade sulla terra.
Abbiamo già visto nel recente passato certe genialate tafazziane sul lusso e gli effetti reali che hanno poi prodotto: code alle frontiere di capitali in fuga, interi settori in agonia e aumento degli acquisti oltreconfine. Nefasti!

Solo un tecnocrate come Saccomanni prestato frettolosamente alla politica può credere che un evasore possa essere dissuaso da una tale misura. E poi, è possibile che il ministro non accenni al fenomeno dell’elusione fiscale, quella che davvero incide sui conti pubblici e che certo non è regolata da pagamenti in contanti?
Siamo ancora una volta di fronte a un atteggiamento demagogico e ipocrita che, a fonte dell’incapacità da parte del governo di percepire un principio di realtà, ovvero la necessità di un radicale cambio di paradigma nel rapporto fiscale tra Stato e cittadini, ci si trincera accusando questi ultimi di essere tutti, indistintamente, una sorta di furbetti o peggio delinquenti.

Tutto ciò, oltre che stupido, ingiusto e offensivo, è francamente intollerabile, in particolare per chi il contante lo ha guadagnato onestamente e ha il diritto di spenderlo in Italia come vuole e nella forma che gli è più comoda, senza essere tentato o costretto ad andare all’estero…