sabato 28 settembre 2013


Napolitano, Craxi e la lezione degli anni Ottanta


26 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 
Napolitano, Craxi e la lezione degli anni Ottanta

“Caro Romano,… spero vivamente di vederti…” Capita di ricevere un invito da un’amica a partecipare ad un convegno sul di lei celebre padre, Bettino Craxi. Il tema centrale è incentrato sulle azioni che hanno contraddistinto il governo presieduto dal leader socialista dal 1983 al 1987. Quindi ti organizzi, fai disdire gli impegni precedentemente presi, levataccia mattutina, treno e via a Roma.
Dopo i saluti, alla presenza del Presidente Napolitano, Stefania apre i lavori ricordando la figura del padre, sottolinea come i comunisti di allora non persero l’occasione di cavalcare l’onda di populismo e demagogia sollevata dalla magistratura milanese, spaventatissimi da quel revisionismo ideologico della sinistra promosso da “un socialista unico, totalmente anti-comunista” come ebbe modo di essere definito dall’allora presidente americano Ronald Reagan. Un inciso: suggerisco a Renzi, qualora non l’avesse già fatto, di andarsi a studiare a fondo quel periodo storico perché gli sarebbe molto utile nel suo percorso…
Nel mentre, osservo il Presidente della Repubblica che ascolta attentamente le parole di accusa pronunciate dalla figlia di Bettino. Non posso fare a meno di pensare a cosa può passare nella mente dell’ex comunista Napolitano, di come la vicenda di Tangentopoli e quella personale e politica di Craxi offrano spunti ancora attualissimi di attenta riflessione per le decisioni che il Capo dello Stato presto dovrà prendere ineludibilmente in merito alle note questioni del Cavaliere.
Poi si susseguono gli interventi di noti professori, non socialisti e nemmeno di parte, dai quali emerge chiaramente lo statista Craxi ed inducono a riflettere su come la sua vicenda storica sia ancora viziata da un cieco giustizialismo fomentato da una certa stampa e miseri interessi di opportunismo politico di alcuni. Le monetine del Raphael rimangono nella memoria collettiva della gente, alterando così il valore del pensiero riformista del precursore Craxi ed i risultati conseguiti dal suo governo: dal valore della sua politica estera – basti ricordare l’ingresso dell’Italia nel G7 – ad una politica economica che portò il Paese a superare per prodotto interno la Francia e la Gran Bretagna, al concordato con la Chiesa.
Purtroppo, populismo e demagogia sono i peggiori nemici di una moderna e sana democrazia, come lo è del resto il vizietto di alcuni che si ripete ancora oggi, ovvero quello di delegare a terzi il compito di sconfiggere mediaticamente e politicamente l’antagonista, visto solo come un nemico e non come un interlocutore con il quale confrontarsi per il bene comune: libertà è avere rispetto prima di tutto dei diritti degli altri, ma anche di poter difendere i propri e, nel caso di un leader politico qualunque esso sia, quelli dei suoi elettori.
Tornando al convegno, dopo che il Presidente si è congedato, nel pomeriggio è il turno delle testimonianze dei diretti protagonisti dell’epoca – da De Michelis, all’allora direttore della banca d’Italia Lamberto Dini, a Fedele Confalonieri, Forlani per citarne solo alcuni – si succedono agli accademici interventi del mattino, il tutto sotto la regia del sapiente Bruno Vespa nazionale. Nell’informale dibattito, si alternano le memorie che danno risalto sia al dinamismo ispirato anche dalla sua Milano, sia al tanto discusso decisionismo craxiano, ovviamente dissacrato dalla sinistra comunista di allora “…che voleva vedere la televisione in bianco e nero quando il colore aveva fatto da tempo la sua comparsa ed era oramai nelle case di tutti gli italiani”
Ed in treno, rivivendo con la memoria gli anni ’80, ti scopri a pensare quanto attuali siano i temi affrontati nella giornata e di come sia evidente il rischio di commettere gli stessi tragici errori di Tangentopoli. Si badi, non c’entra un certo parallelismo tra le vicende di Craxi e quelle diBerlusconi, non c’entra l’appartenenza ad una determinata cultura o parte politica e nemmeno l’essere il garantista o il giustizialista del caso. La politica allora diede prova di grande ipocrisia ed alcuni si salvarono per questo da una giustizia afflitta dalla sindrome della lente d’ingrandimento, dando poi il via ad una stagione ventennale di conflitti ancora oggi lungi dall’essere finiti.
Sembra davvero che la storia si ripeta ed i disastri attuali e quelli futuri sono di tutta evidenza, ancora più gravi di quelli passati. Con tutto il rispetto, magari grazie anche ai ricordi personali che il convegno gli avrà sicuramente stimolato, auspico solo che il Presidente Napolitano non commetta l’errore del suo illustre predecessore Cossiga e possa trovare una soluzione politica per il cul de sac in cui si trova il Paese: data l’impotenza e l’incapacità manifestate dal Parlamento, davvero non rimane altro che questa presidenziale uscita d’emergenza dalla palude del non fare, quando invece avremmo bisogno di tanto, ma tanto decisionismo.

venerdì 27 settembre 2013

Basta chiacchiere, cambiamo paradigma anche in Europa


24 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 

La coperta è troppo corta ed il periodo delle chiacchiere e degli interventi tampone è davvero finito. E’ inutile stare ad elencare tutti i giorni gli errori commessi in passato, come è noioso e sterile da parte dei politici il vomitarsi addosso reciprocamente colpe e responsabilità con le comparsate televisive dei soliti volti noti. Siamo giunti alla resa dei conti per un Paese in ginocchio ed è tempo di guardare in faccia la realtà, di prendere consapevolezza del presente per delineare chiaramente un futuro che non riguarda solo il nostro tafazziano e meraviglioso Paese, bensì quello dell’Europa.
Numeri alla mano, la stagione tecnica del rigore montiano si è conclusa  con un fallimento. Cosa ci ha insegnato? Sostanzialmente una cosa: la salute del sistema Italia non migliora approcciando alla questione del rapporto deficit / pil solo dalla parte del numeratore, pensando che il denominatore possa poi aumentare motu proprio. La conseguenza di questa miope illusione, che non ha assolutamente considerato il fattore tempo, è una falcidia delle piccole e medie imprese italiane, massacrate dall’ovvia conclusione di tale politica economica, ovvero un calo di consumi interni che oggi sta portando alla progressiva desertificazione delle imprese manifatturiere e commerciali.
Inutile guardare oggi al modello tedesco. La rielezione della Sig.ra Merkel conferma il fatto che la Cancelliere ha agito, come è giusto che sia, nell’interesse dei suoi concittadini che l’hanno premiata rinnovandole la fiducia.  Tuttavia  – sarà banale ma oggettivamente è così – la Germania non è l’Italia: faremmo bene a prenderne atto. Quel paese, da grande malato agli inizi degli anni duemila, ha saputo approfittare della moneta unica, ha attivato una politica di riforme strutturali ed è ripartito. Oggi la locomotiva d’Europa vorrebbe trascinare i vagoni dei paesi più deboli a seguirne l’esempio. Dimentica però che la rete ferroviaria – la situazione macroeconomica -  è cambiata: l’alta velocità imposta dalla crisi e dalla globalizzazione impone che i vagoni meno attrezzati abbiano la possibilità di adeguarsi senza correre il rischio di deragliare. In altre parole, senza tornare sulle loro storiche ed oggettive responsabilità, possano mettersi in condizione di rimettere in moto la loro economia, agganciare i timidi segnali di un venticello di ripresa per poter tornare a crescere. Onde evitare di ripetere l’errore dei tecnici, anche in questo caso è bene rimarcare che il fattore tempo a disposizione è fondamentale, vitale direi.
Crescita diventa quindi la parola d’ordine. A meno che qualcuno non pensi che la porti la cicogna o la si trovi sotto un cavolo, dobbiamo essere consapevoli che senza risorse ed investimenti e, soprattutto, senza una significativa riduzione delle tasse su imprese e diminuzione del costo del lavoro – cuneo fiscale – la ripresa non sarà possibile. Tuttavia, dicevamo, la coperta è troppo corta: pochissimo fieno in cascina ed i parametri imposti dalla Comunità Europea, allo stato, non ci consentono alcuna libertà d’azione.
Dunque, che fare? Due sono le alternative, a patto di voler osservare razionalmente ed in modo pragmatico la realtà e non trastullarci in ulteriori perdite di tempo. La prima: osservare pedissequamente le direttive imposte, rigidamente ancorati su parametri che, sebbene condivisibili in astratto, prolungano di fatto l’agonia del malato con una terapia inefficace di piccoli tagli di spesa e interventi annacquati che porteranno solo ad una inevitabile continua necessità di nuove entrate, maggiori imposte ed austerità. Così facendo, l’unica conseguenza sarà quella che a breve ci ritroveremo senza imprese, ovvero privi del supporto sul quale poter contare per creare nuova ricchezza, ovvero crescita. A mio avviso, un cortocircuito perverso che altri paesi come Stati Uniti e Giappone, hanno da tempo intuito ponendovi rimedio con incentivi che stanno portando i loro frutti. Giova ricordare ed avere ben presente che tali paesi, insieme alle ex economie emergenti oramai realtà emerse da tempo, sono quelli con i quali dobbiamo confrontarci e competere sul mercato globale, non solo come Belpaese, bensì come Europa!
La seconda è quella di affrontare la situazione guardando in faccia i nostri partners europei, in particolare la Germania, dicendo loro chiaramente che, rispettando le condizioni che avevamo a suo tempo sottoscritto in modo avventato, semplicemente ma realisticamente non ce la facciamo ed abbiamo bisogno di allargare i cordoni della borsa. Si badi, non per spendere, ma per investire: c’è una grandissima differenza. E per essere credibili occorre che il Governo e la maggioranza che lo sostiene non pensi ad iniziative di piccolo cabotaggio, ma che predisponga un serio programma pluriennale che, insieme a massicci tagli di spesa, diminuzione del cuneo fiscale e delle imposte che pesano sulle imprese e sulle famiglie, possa liberare risorse e far riprendere gli investimenti senza i quali non ci può essere crescita. Deficit di bilancio, debito pubblico sono rapporti e numeri che perdono di significato se viene a mancare la capacità di produrre ricchezza, ovvero il pil: è elementare ed inevitabile che crescano se il denominatore non cresce.
Se l’Europa davvero intende proseguire nel suo disegno federalista, dovrà inevitabilmente prenderne atto: in una geografia economica globalizzata, non ci sono alternative se non quella di un misero e triste fallimento con ovvie conseguenze nefaste per le prossime generazioni di cittadini europei, tedeschi inclusi.

venerdì 20 settembre 2013

Perché Renzi, Grillo e pure i magistrati sono berlusconiani…


19 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.news
Perché Renzi, Grillo e pure i magistrati sono berlusconiani...
Siamo tutti berlusconiani, nonostante il fallimento delle passate azioni di governo di Silvio Berlusconi, peraltro ammesse dal diretto interessato. Ed è un paradosso tragicomico, ma solo all’apparenza.
Sono berlusconiani i suoi principali avversari, quelli rappresentati da una sinistra litigiosa ed inconcludente che, nelle immediate dichiarazioni del suo segretario, ancora una volta manifesta tutta la miopia e l’inconsistenza politica di un partito che negli anni è riuscito divinizzare la figura di un politico rendendolo un martire perseguitato agli occhi dei suoi fedeli. Più volte abbiamo avuto modo di ribadire l’aspetto fideistico che lega il Cavaliere ai suoi milioni di elettori e più volte i leader che si sono succeduti alla guida di quella parte cattocomunista ci hanno sbattuto il muso, ottenendo solo il risultato di romperselo.
E lo stesso Renzi, capace solo un anno fa di riscuotere simpatie anche tra i fedeli di Arcore, ha poi virato nella sciagurata direzione di commettere il medesimo errore. Lusingato e illuso dagli endorsement ricevuti dall’apparato gerarchico, soddisfatta la sua legittima quanto smisurata ambizione, pare non accorgersi che andrà a pescare nello stesso stagno dove si sono dilettati i precedenti segretari: bene che gli vada, prenderà i soliti pesci per poi fare la fine dei suoi miseri colleghi.
Grillo? Avendo sprecato l’occasione del successo elettorale, il suo movimento si è avvitato in azioni da movimento adolescenziale, non capendo ancora oggi, a distanza di mesi, che il Parlamento non è una assemblea liceale. Alla fine, è il più berlusconiano di tutti.
Sono politicamente berlusconiani i giudici che hanno condannato il Cavaliere. Senza tornare nel merito delle sentenze o della stucchevole questione sulla legge uguale per tutti dei bacchettoni moralisti, è innegabile la sensazione sempre più diffusa tra i cittadini di un uso strumentale delle condanne inflitte per fini politici. Berlusconi ne è consapevole: sondaggi alla mano, il consenso di cui ancora gode nonostante le vicende che sta vivendo, non è semplicemente spiegabile solo con il fideistico rapporto di cui sopra. E da gran comunicatore quale è, le ha sfruttate e ne farà un pilastro della rinnovata Forza Italia di antica e nostalgica memoria per la sua futura battaglia personale e politica.
Il grande venditore – ed è un complimento dato che saper vendere è un talento ai più negato  - saprà poi venderle al popolo. E’ opportuno ricordare che fu proprio a causa della prima sentenza Mediaset che un Silvio Berlusconi fino ad allora intenzionato e disponibile a farsi da parte, dichiarò in una tesa conferenza stampa a Villa Gernetto, la sua decisione di voler affrontare in prima persona una nuova campagna elettorale. A quel tempo, i sondaggi davano il suo partito intorno al 12 per cento. Come sono andate poi le cose è all’evidenza di tutti, sostenitori ed avversari.
Sono berlusconiani persino i suoi avversari che appartengono a quell’area moderata – definizione oggi peraltro terribile, noiosa e priva di senso – provenienti dalla medesima storia e sensibilità culturale, costretti oggi all’irrilevanza politica a seguito di un fallimento annunciato e previsto. Sarà davvero curioso vedere come reagiranno alle parole del videomessaggio di Berlusconi: Il peso dello Stato, delle tasse, della spesa pubblica è eccessivo: occorre imboccare la strada maestra del liberalismo che, quando è stata percorsa, ha sempre prodotto risultati positivi in tutti i Paesi dell’Occidente: qual è questa strada? Meno Stato, meno spesa pubblica, meno tasse”.
Leggendolo con il paraocchi del pregiudizio, con il vizio di pensare al futuro guardando allo specchietto retrovisore o, peggio ancora, barricandosi dietro alle vicende personali del Cavaliere degli ultimi vent’anni, sforzandosi solo nel tentativo di prenderne il posto, commetteranno l’errore maldestro ed imperdonabile già fatto nel recente passato. Paradossale sentire autoproclamarsi paladini della necessità di riformare il Paese – peraltro evidente –  da chi poi fa di tutto per avere percentuali da farmacista in Parlamento.
L’Italia ha bisogno di una nuova Margaret Thatcher, ma nemmeno la Lady di Ferro avrebbe potuto fare ciò che ha fatto se non avesse avuto i numeri dalla sua parte. Troppi, nel panorama politico italiano riconducibile all’area liberale di centrodestra, sembrano dimenticare una vecchia ma sempre valida regola: in democrazia, chi governa ha sempre ragione. Nel caso, si dovrebbe invece pensare a come mettere chi governa nelle condizioni di poterlo fare davvero, mentre da noi le coalizioni si sono tristemente rivelate solo ingannevoli ed improduttive alchimie elettorali. Ma questo è un altro discorso.
In conclusione, perde quindi di significato la questione sulla decadenza ed incandidabilità se non per quanto attiene la sfera privata degli affetti e dei diritti politici del cittadino Berlusconi. Il vecchio e combattivo leone non ha aspettato che altri chiudessero un’epoca: lo ha fatto lui e, contestualmente, ne ha aperta una nuova. Ovviamente, non nella maniera che molti suoi avversari speravano, ovvero rassegnandosi al suo destino di esule in quel di Arcore, in pomeriggi trascorsi a passeggiare nel parco, pensando magari ai soli bisognini di Dudù. Il leader, ancora una volta, ha estratto il fazzoletto dalla tasca, ha ripulito la sedia e, con Forza Italia, ritorna al futuro. Con buona pace dei vari Travaglio.
L’auspicio è che i berlusconiani, sia i consapevoli sia quelli a loro insaputa, ne prendano semplicemente atto.

lunedì 16 settembre 2013

Berlusconi e Ilva, quando la politica pensa al passato


13 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
Berlusconi e Ilva, quando la politica pensa al passato
Il principio di causalità non si applica solo alle leggi della fisica, ma anche alla sequenza di azioni e situazioni che costellano la nostra vita. Nasce dall’idea che i fenomeni si susseguano unicamente in un processo di causa/effetto, mentre tutto ciò che non risponde a questa legge è dovuto al caso o al libero arbitrio. In base a questo principio la nostra situazione attuale dipende dalle cause che abbiamo posto nel passato, così come dalle cause che poniamo nel presente dipenderà la nostra situazione futura.
Naturalmente, se diamo per pacifico questo teorema, non sarà solo a causa delle azioni che personalmente o collettivamente abbiamo creato in passato che dipende la nostra situazione nel presente, essendo in ogni caso influenzata da ciò che altri hanno fatto.
In ogni modello di società, gli individui si sfruttano reciprocamente per soddisfare i loro bisogni: un imprenditore rischia il proprio capitale e trae profitto dal lavoro dei suoi dipendenti che, a loro volta, sfruttano l’iniziativa del primo ottenendone in cambio una retribuzione. I rapporti sono poi necessariamente regolati dalle leggi, in quanto, per istinto, ognuno tende a far privilegiare i propri interessi, singolarmente o organizzandosi in gruppi, trovando però i perimetri della libertà d’azione nelle regole della morale o imposti dalla forza coatta delle norme giuridiche.
Quindi, applicando il principio di causalità alla società italiana, in particolare alle questioni legate a Silvio Berlusconi ed alla vicenda tragica nel contempo tafazziana della Riva Acciaio – Ilva – è possibile rendersi conto che l’effetto negativo che impatta sull’intera collettività, seppur a due diversi livelli, ha una precisa ragione: l’incapacità di vivere il presente e perpetuare il dibattito ai vari livelli, mass media e istituzionale, esclusivamente sul passato: la vicenda politica e personale del Cavaliere o sugli orrori commessi a Taranto prima dalla pubblica amministrazione e poi dalla famiglia Riva. Ora, la questione è come uscire e superare tale effetto, non di discuterne all’infinito la causa.
Non ha senso vivere recriminando sul passato dell’Ilva o, nel caso del Pd, crogiolarsi nell’attesa della fine di un avversario politico, peraltro diventato negli anni un’ossessione. In entrambi i casi, dato che non è possibile modificare il passato, sarebbe opportuno concentrarsi sul presente per non rischiare di creare ulteriori e maggiori danni futuri.
Viviamo un momento talmente delicato che il comune buon senso dovrebbe suggerire a tutti noi che l’interesse generale del Paese e quello particolare dei lavoratori della Riva Acciaio, richiederebbero soluzioni e misure straordinarie così come sono eccezionali le situazioni di entrambi.
Lo stato di bisogno impone un colpo d’ala a chi di dovere – Presidente Napolitano e Governo – che non rientra nelle questioni di normale amministrazione, ruoli e compiti istituzionali costituiti. Le imprese ed i lavoratori vivono una battaglia quotidiana contro la crisi economica, mentre la politica italiana ha combattuto una guerra fredda per oltre venti anni che certamente non finirà a colpi di sentenze e con le dimissioni eventuali o la decadenza di Berlusconi. Così come, per l’Ilva, il licenziamento di 1400 dipendenti non bonificherà l’area di Taranto e non restituirà la salute ai suoi cittadini.

Meglio il libero arbitrio di due istituzioni – Presidenza della Repubblica e Governo – mediante una azione forte ed autoritaria che trascenda le decisioni di un ordine dello Stato e tiri così una riga, gettando le basi per la fine della dittatura di una democrazia parlamentare che da tempo ha rinunciato, non senza una buona dose di masochismo e di ipocrisia, ad esercitare il suo potere. Poi potremo finalmente pensare a come diventare un Paese normale, magari iniziando a riscrivere alcune delle regole di base oramai inadatte e segnate dal tempo.

lunedì 9 settembre 2013

La favola di un ricco Cavaliere


08 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
La favola di un ricco Cavaliere
Nell’ anno del Signore 2492 / 350° dopo la 1^ Grande Glaciazione, un vecchio racconta ai bambini radunati attorno a lui che in silenzio lo ascoltano curiosi ed attenti, quella che fu la storia di un antico Cavaliere…
C’era una volta, tanto tempo fa, in un paese lontano al di là del mare, un ricco Cavaliere che viveva in un grande castello di campagna, circondato da un immenso parco con alberi secolari e arbusti di rara bellezza. Il Cavaliere amava passeggiare tra i giardini del parco, conosceva il nome di ogni singola pianta e fiore ed era felice, ogni volta che ne aveva occasione, di intrattenere i suoi ospiti raccontandone i pregi e virtù.
La gente del suo paese, abituata da sempre a lavorare e produrre, viveva tranquilla e all’apparenza prosperosa. Tutti ammiravano il Cavaliere e gli erano grati per aver ricevuto, in dono da lui, il divertimento gratuito di nuovi spettacoli ai quali potevano assistere, innovativi rispetto a quelli cui erano abituati, grazie ad un apparecchio allora presente in tutte le case chiamato televisione.
C’era poi, a quei tempi, uno sport tanto diffuso quanto bizzarro che vedeva ventidue giocatori in mutande prendere a calci una palla nel tentativo di metterla nella porta dell’avversario. Lo chiamavano gioco del calcio ed ancora oggi se ne possono leggere le vicende nei racconti degli scrittori di allora, chiamati giornalisti. Uno di questi, a noi noto come Brera, dicono fosse il più bravo di tutti. In un suo racconto narra che la passione che i maschi di quel paese nutrivano per il calcio era dovuta all’influenza che aveva nella loro sfera sessuale. A differenza di oggi, molti secoli fa il mondo era chiaramente diviso tra genere maschile e femminile: mettere quello strano pallone nella porta dell’avversario era come violare la vagina della femmina altrui e la tal cosa dava loro tanto piacere. Pensate, un bel giorno il Cavaliere decise di regalare a molti di loro un’intera squadra per quel gioco, spese tantissimi soldi (ma ne aveva tanti) rivoluzionando le abitudini di allora e mise insieme i migliori atleti. In poco tempo vinse tutto e diventò sempre più famoso ed amato dalla gente.
Sembravano anni felici per il popolo di quel paese lontano: anni da bere come recitava una pubblicità di allora. La gente non si preoccupava del futuro, intenta com’era a ballare durante la notte nelle discoteche ed impegnata in ogni genere di stravaganza: dai vestiti che allora chiamavano moda, allo stile d’arredo delle loro case che era denominato design, all’abitudine diffusa di mangiare due chicchi di riso ed un fungo che definivano nouvelle cuisine. Stravaganze che, per fortuna, nel nostro paese non sono mai accadute.
Un giorno, all’improvviso, uomini vestiti con abiti di colore nero pensarono che era giunto il momento opportuno per cambiare chi allora governava quel Paese. Utilizzando l’immenso potere di cui disponevano, riuscirono infine nella loro azione: in poco tempo i governanti che erano stati prima scelti dal popolo venivano abbattuti e sconfitti, alcuni rinchiusi nelle prigioni, altri costretti a fuggire. Molti si rassegnarono e passarono poi tra le fila di coloro che bramavano e smaniavano di prenderne il posto. Grazie all’iniziativa degli uomini in nero, questi individui che, messi insieme, venivano chiamati sinistra, si accingevano allegramente a regnare sul quel paese.
Ma commisero un errore. Non avevano considerato il Cavaliere, al quale non erano tanto simpatici questi giustizialisti sinistroidi presunti rivoluzionari, tanto meno gli piaceva ciò che professavano come modello di vita e, per questo motivo, era da loro malvisto e più volte in passato osteggiato.
Fu così che decise di radunare le sue forze, cambiare le sue abitudini, utilizzare le sue enormi ricchezze per prepararsi alla battaglia ed infine comunicò al popolo la sua decisione attraverso la televisione che aveva loro donato e che sapeva usare molto bene, meglio di chiunque altro. Scese nel campo di battaglia, lottò come un leone e sconfisse gli uomini di sinistra, addirittura riuscì a mortificarli, lasciandoli increduli per gli anni che seguirono, sempre confusi ed intenti solo a domandarsi il perché e come tutto ciò era potuto accadere.
Passarono alcuni lustri, il Cavaliere governò quel paese con alterne fortune ed alcune sventure. Diventato oramai un anziano e sempre ricco signore, proprio mentre stava meditando di ritirarsi a vita privata per godersi serenamente le sue antiche passioni ed una giovane compagna, fu colpito a sua volta dagli uomini in nero che, durante tutti quegli anni, non si erano mai scordati di lui, anzi osservavano ogni sua azione con un’attenzione particolare che mai in precedenza era stata rivolta a chiunque altro, nemmeno ai vecchi governanti tanti anni prima. E fu così condannato all’oblio ed al martirio, tra l’esultanza dei giacobini di sinistra che finalmente vedevano avvicinarsi l’opportunità di riscattare l’oltraggio ed il disonore patiti per tanto tempo e la possibilità di conquistare il potere, sebbene avessero fatto poco o nulla per meritarsi il regalo ricevuto.
A questo punto, essendo andati perduti gli antichi documenti dopo l’ultima glaciazione, i racconti tramandati nei secoli dai mercanti di spezie ci consegnano la parte finale della storia del Cavaliere avvolta da un’alea di mistero e si tinge così di leggenda. Alcuni lo descrivono per anni ancora fiero e combattivo, altri rassegnato in un esilio dorato nel parco del suo castello, distante dalla vita pubblica e dimenticato da tutti. Altri ancora raccontano di un documento ritrovato in un paese vicino che era stato prima trascurato dagli uomini in nero e che, per le leggi allora in vigore, avrebbe riaperto il processo, cambiato la sentenza di condanna e ridato ancora più lustro e consenso popolare al Cavaliere per gli anni che gli restarono da vivere, per poi eleggere principessa la sua erede primogenita che di nome, dicono, facesse Marina o qualcosa di simile.
Il vecchio conclude quindi la sua narrazione, lasciando però i bambini ancora incuriositi e speranzosi di conoscere quale sia la fine vera del Cavaliere. Uno di loro, il più intraprendente, si alza e chiede al vecchio quale, tra le tre, ritenga essere la più veritiera tra le possibili soluzioni e chi tra i protagonisti goda della sua simpatia: il Cavaliere, gli uomini in nero o quelli di sinistra?
Allora il vecchio sorride ed inarcando le spalle risponde “Che importanza ha conoscere la mia opinione o le miei simpatie? Rifletti su ciò che conosci della storia e prova da solo a trovare la risposta che cerchi. Probabilmente, in questo caso non ci riuscirai, ma quantomeno arriverai a quella che preferisci e ti convincerai che è quella vera, scordandoti poi le altre. In fondo, la verità non è mai assoluta, nemmeno nell’epoca in cui le storie narrate avvengono perché sono comunque trascritte o raccontate da altri che a loro volta le interpretano, a volte in buona fede a volte no. Figuriamoci oggi a distanza di molti secoli. Ed ora andate a giocare e fatelo bene perché il gioco è cosa seria”
Ma il bambino è caparbio e insiste: “Lo farò, ma dimmi cosa come pensi andarono a finire il Cavaliere e gli altri”
Ed il vecchio: “Quel che mi chiedo è che destino avrà poi avuto il popolo di quel Paese. La risposta è la sola verità che mi piacerebbe conoscere e la sola domanda che avrei voluto sentire da te”

sabato 7 settembre 2013

Berlusconi, sorprendici ancora: fai lo statista e non solo il piazzista


05 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
Berlusconi, sorprendici ancora: fai lo statista e non solo il piazzista
Quante volte negli ultimi venti anni abbiamo sentito ripetere “Berlusconi? Solo un gran venditore”?
È stata l’affermazione più ricorrente tra gli esponenti della parte politica opposta al Cavaliere, probabilmente anche la più elegante che gli sia stata rivolta dai tempi del celebre videomessaggio registrato in quel di Arcore, dove tutto era stato studiato nei minimi dettagli, dalle luci alle foto dei figli poste sullo sfondo di un ambiente sobriamente domestico, il tono della voce che mutava a seconda dello specifico argomento: morbido e suadente mentre narrava della sua vita imprenditoriale e familiare, duro quando il tema verteva sul pericolo rappresentato dai comunisti vestiti da novelli democratici di sinistra, determinato ed ammiccante nell’annunciare la sua nuova aspirazione di vita, sebbene, a suo dire, fosse costretto a bere l’amaro calice di scendere in politica solo per amore nei confronti del suo Paese.
La storia ci dice che seppe vendere bene il suo prodotto, se stesso, raggiungendo l’obiettivo di sconfiggere l’allegra armata brancaleone, mentre sui contenuti e principi allora annunciati, diciamo solo che l’Italia è ancora oggi divisa sulle caratteristiche di qualità oggettiva.
Stesso discorso, anni diversi
Succede poi che a distanza di anni ed a seguito di note vicende giudiziarie, Berlusconi segua l’identico schema. Cambiano solo la scena ed il racconto: veste i panni dell’affermato leader di partito, con le bandiere dell’Italia e dell’Europa, lo studio è quello istituzionale di Roma, la narrazione è la sua vita politica, mentre l’amore a suo tempo proclamato per il suo Paese pare vacillare e diventa una domanda che pone ai suoi spettatori, chiedendo loro se il significato del voler bene significhi per taluni il decretare la fine politica di un leader. E raggiunge ancora una volta l’obiettivo: da imprenditore di successo, a principale uomo politico dell’ultimo ventennio, infine vittima sacrificale di una magistratura politicizzata che da novello martire, una sorta di Mandela, si accinge a combattere per quel che gli resta da vivere.
L’estate del Cavaliere
Da quell’ultimo messaggio trasmesso in prime time da tutti i canali televisivi e riportato in rete, trascorrono alcune settimane, gli italiani sono in vacanza – almeno quelli che se lo possono permettere – ma il Cavaliere lavora con impegno, spostandosi tra RomaCosta Smeralda eBrianza. Riceve tutti, collaboratori, avvocati, amici, familiari e, naturalmente, la fauna diversificata e pittoresca dei maggiori esponenti del suo partito, molti dei quali lo hanno peraltro “fregato” approvando la legge Severino allo scadere della scorsa legislatura. Già, ma erano altri tempi, quando molti mediocri del Pdl pensavano di brillare di luce propria in cerca di gloria personale, salvo poi ricredersi ed accucciarsi di fronte al recupero di consenso del vecchio leone. Gli altri, i ribelli fuoriusciti, sono ancora li a leccarsi le ferite.
Il grande venditore
Gli anni non hanno tuttavia minato la sua straordinaria capacità di lavoro, davvero notevole data la non giovanissima età. Il grande venditore è consapevole di giocarsi l’ultima partita, quella definitiva e pianifica così la strategia in due opzioni tattiche: martire ad Arcore e responsabile statista oppure scatenare il caos e l’inferno istituzionale, richiamando a se i fedeli adepti ed i nostalgici della chiesa di Forza Italia?
Valutare bene i punti di forza ed i punti di debolezza del prodotto, conoscere il mercato di riferimento, osservare la concorrenza, ideare la giusta campagna di comunicazione per fidelizzare il consumatore ed acquisirne di nuovi: sono tutte regole e principi di marketing che il grande Venditore conosce bene e sa utilizzare e rispettare. Berlusconi conosce il valore immateriale di un brand e, in questo caso, il marchio è lui stesso. È da sempre un accentratore, decide di testa sua utilizzando le ricerche e le informazioni – i sondaggi – di Alessandra Ghisleri. Sono state settimane di duro lavoro per la sondaggista brianzola che da anni gode della stima del Cavaliere, essendo probabilmente la sola del suo entourage che in definitiva ascolta davvero per determinare le sue scelte finali.
Un prodotto che vende
Stando quindi alle recenti interviste ed alle ricerche svolte dalla Ghisleri, i risultati ed i numeri confermano in crescita il consenso popolare del Cavaliere, gli elettori del Pdl hanno apprezzato la coerenza sull’Imu rispetto alle promesse elettorali e non hanno condiviso le scelte di Napolitano sulle nomine dei nuovi senatori a vita, vedendo in esse uno spreco di risorse ed un palese tentativo di chiuderlo ulteriormente in un angolo. Infine gli slalom a sinistra di Renzi e gli endorsement ricevuti dai vecchi comunisti travestiti, riducono di molto la simpatia che il sindaco di Firenze aveva suscitato presso gli elettori di cultura ed estrazione di centrodestra, disponibili solo un anno fa a dare fiducia al monello toscano. In sintesi, gli imput che gli servono e che nulla di buono lasciano presagire per il futuro della XVII legislatura, del governo presieduto da Enrico Letta e per il Paese.
In attesa del prossimo messaggio
In attesa di un altro videomessaggio – presumibilmente domenica prossima – non rimane che un auspicio, ovvero quello che presenti un Silvio Berlusconi non “solo” venditore, bensì lo confermi il migliore di tutti, quello che sa anche stravolgere le regole, rispettando però la più valida in assoluto nel pur spesso arido mondo dei rapporti commerciali e, ancora di più, degli equilibri politici: gli affari si fanno sempre in due e questo porta alla reciproca soddisfazione delle parti. In particolare la sua, ovvero la descrizione che la storia farà del politico Berlusconi: il migliore venditore politico diventato poi statista o solo un piazzista mordi e fuggi? Alla fine, come sempre, l’ultima parola sarà la sua ed a noi, comuni cittadini, non resta che sperare ci possa sorprendere ancora una volta, nonostante la brava Ghisleri ed i sondaggi di Euromedia.

martedì 3 settembre 2013

Grillo, Renzi, Berlusconi: il carisma dei leader pesano più dei progetti politici


28 - 08 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 
Grillo, Renzi, Berlusconi: il carisma dei leader pesano più dei progetti politici
Se dovessimo chiedere a cento simpatizzanti di Matteo Renzi – che si dichiarano disponibili a votarlo – i principali punti del suo programma politico, ovvero che cosa contribuirebbero a realizzare con il loro voto, state certi che la stragrande maggioranza di loro risponderebbe con un laconico “non so” e l’intervistatore sarebbe quindi portato a chiedere perché allora lo voterebbero. La risposta sarebbe altrettanto stringata: “lo voterei perché è nuovo”.
Se poi dovessimo porre la stessa domanda agli elettori di Silvio Berlusconi, anche in questo caso non sarebbe una sorpresa scoprire che la maggior parte di loro non conosce che cosa significhi “rivoluzione liberale”, tanto meno la curva di Laffer o il tema del conflitto d’interessi.

La carta vincente del carisma
Eppure, nel comune sentimento popolare, entrambi sono identificati come le persone di riferimento dei rispettivi gruppi politici, ovvero riconosciuti come leader. La caratteristica comune ad entrambi è la capacità di esercitare una forte influenza sulle persone accattivandosi il loro consenso che poi, in politica, si traduce in numero di voti. In sintesi, entrambi possiedono carisma che usano con indubbia capacità comunicativa. Ed è una caratteristica necessaria per chi si propone leader di uno schieramento politico. Addirittura, per il risultato finale, trascende i contenuti della proposta del partito o movimento di appartenenza nella fase fondamentale del processo di affermazione, ovvero in campagna elettorale.

Grillo e Giannino esempi nostrani
A conferma, per citare un caso emblematico, basta ricordare il successo del movimento diBeppe Grillo e chiedersi quanti tra coloro che lo hanno portato con le elezioni di febbraio a risultare il primo partito conoscessero i candidati che li avrebbero poi rappresentati in Parlamento. Oppure, in questo caso quale esempio di insuccesso, ricordare – ahimè – il flop elettorale di Fare Fermare il declino imputabile in gran parte alle vicende personali dell’ottimoOscar Giannino che ne era figura di riferimento, sebbene il contenuto del manifesto e la riconosciuta straordinaria competenza, nonché lucidità, di Oscar nulla avessero a che fare con i suoi titoli accademici e tanto meno dipendessero da questi ultimi.

Come deve comunicare la politica
L’errore più banale che commettono molti professionisti della politica, aspiranti candidati al Parlamento e persino presunti leader di partito è quello di pensare e comunicare come se il popolo degli elettori si occupasse tutti i giorni di politica, che siano tutti una sorta di tecnici addetti ai lavori: ebbene, non è così.
Certamente non perché gli italiani siano – come alcuni intellettualoidi snob radical chic da salotto sostengono – un insieme di qualunquisti, refrattari e pigri ad interessarsi della res pubblica. Hanno invece, più semplicemente, interessi e spesso problemi quotidiani più impellenti di cui occuparsi ed ai quali dedicano la maggior parte della loro giornata: il lavoro, i figli, le rate del mutuo, la spesa al supermercato, la pensione che non basta ad arrivare a fine mese, andare in vacanza o al ristorante.

Imparare a raccontarsi e a interpretare
In sintesi, hanno bisogni da soddisfare e paure da sconfiggere: chi, in politica, ha saputo e le saprà interpretare e tradurre in risposte semplici, dosate in giusta misura al cervello, al cuore ed alla pancia – non necessariamente nell’ordine – ha potuto e potrà pensare a buon titolo di raggiungere l’obiettivo della vittoria perché, in ultima istanza la gente o, se preferite la massa, ha sempre un estremo ed innato bisogno: quello di identificarsi anche inconsciamente in un riferimento che abbia il volto di una persona che sappia raccontare e raccontarsi, un leader che li aiuti anche a sognare un futuro migliore che difficilmente è riconoscibile da tutti nelle pagine di un freddo programma elettorale.