giovedì 25 luglio 2013

Rimborso elettorale, un tema che va affrontato (senza ipocrisia)


24 - 07 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
Rimborso elettorale, un tema che va affrontato (senza ipocrisia)
Il dibattito politico sul tema del finanziamento pubblico ai partiti, pardon sul rimborso elettorale, è un po’ come il jeans nell’abbigliamento di tutti i giorni: non passa mai di moda. E come il pratico tessuto – pensato originariamente dal geniale Levi Strauss quale indumento di lavoro per i cercatori d’oro americani impegnati nella Golden Rush di fine Ottocento – ha diviso e fatto discutere i puristi dell’eleganza, almeno fino a quando re Giorgio Armani lo ha definitivamente sdoganato all’inizio degli anni Ottanta, così quando si tratta di pubblico finanziamento per sostenere i costi della politica, o meglio dei partiti politici, l’opinione pubblica si divide tra favorevoli e contrari, accesi sostenitori e radicali abolizionisti. Vedremo come andrà a finire, ovvero se il governo Letta ce la farà ad essere come king Giorgio (lo stilista) e se i partiti che durante la campagna elettorale si erano dichiarati contrari manterranno fede alle loro promesse, Pdl in prims.
Ai più giovani è opportuno però ricordare che sul tema dei costi dell’attività dei partiti, quindi sulla loro necessità di reperire i fondi necessari per sostenerli, siano essi pubblici e leciti o privati e spesso meno leciti, abbiano avuto origine le vicende degli ultimi venti anni della nostra Repubblica, portando all’arrivo di un Cavaliere di Arcore e, di fatto, alla situazione attuale. Mi riferisco quella serie di avvenimenti degli inizi anni novanta che la cronaca e la storia hanno chiamato Tangentopoli, periodo legato indissolubilmente alla figura di un magistrato, Antonio Di Pietro, e di uno dei pochissimi leader politici che questo Paese abbia mai avuto, Bettino Craxi.
Il buon senso mi induce ad evitare commenti sul primo, mentre è interessante notare come il socialista Bettino Craxi fosse contrario al finanziamento pubblico ai partiti, ritenendo che il contributo dello Stato, ovvero dei cittadini, mascherasse una grande ipocrisia di fondo: quella di non essere sufficiente nemmeno per l’ordinaria gestione di un piccolo partito, rendendo necessario il ricorrere comunque alle sovvenzioni private. In particolare, Craxi sosteneva che i principali beneficiari dell’evoluzione economica e sociale del Paese attraverso la politica fossero soprattutto gli industriali, pertanto spettasse a loro sostenere le spese dei partiti. Da qui la sua convinzione che i paesi industrializzati sono democratici perché il denaro circola tra tutti i movimenti / partiti politici ed è proprio questo il meccanismo della vera democrazia. Non a caso, usava citare gli Stati Uniti d’America quale unico vero Paese democratico, dove le lobby (altro argomento di moda in questi mesi in Italia) si preoccupano di finanziare una parte politica affine ai propri interessi per facilitare il percorso di un determinato progetto di legge presso le istituzioni. Ed il partito finanziato? Rilascia poi regolare fattura e tutto viene fatto alla luce del sole.
Cosa avvenne poi da quel 1992 che segnò l’inizio di Tangentopoli è cosa nota, mentre la domanda sul perché si è investigato con accanimento su alcuni e non su altri è ancora priva di una risposta: difficile capire la logica che ha guidato la mano dei giudici e sono ancora fumosi i criteri seguiti nella scelta degli indagati. Nondimeno, senza voler entrare nel merito della vicenda, di fatto sulla questione del finanziamento illecito ai partiti si è ridotta in pezzi la Democrazia Cristiana, si è colpevolmente demonizzato Bettino Craxi ed il progetto di modernizzazione che rappresentava il suo guardare con favore ad un modello di repubblica dove il “decisionismo” governativo potesse essere il fattore principale per affrontare con tempismo ed efficacia i cambiamenti geopolitici già allora in embrione e che sono esplosi in seguito. E’ inoltre curioso che, allora, siano stati proprio i post-comunisti a pensare di godere i benefici di quell’ondata di giustizialismo e del conseguente vuoto di potere che si era creato, invece arrivò Silvio Berlusconi a mettere i bastoni tra le ruote e, probabilmente, non lo hanno ancora perdonato.
In conclusione, se da una parte è inutile guardare alla situazione attuale con lo specchietto retrovisore, dall’altra è indubbio che la vicenda Tangentopoli quantomeno ci insegna la centralità della questione finanziamento pubblico e le sue ripercussioni non solo economiche e giudiziali, bensì quelle legate alla vita democratica del Paese. Per evitare che in futuro qualcuno si alzi da uno scranno del Parlamento e puntando il dito verso i colleghi affermi “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, per evitare poi vergognosi lanci di monetine, confido che si ponga fine ad una ipocrisia diffusa e si elimini definitivamente ciò che peraltro i cittadini hanno da tempo espresso di non volere, restituendo loro la dignità di saper valutare e decidere chi possa rappresentarli.

martedì 23 luglio 2013

La professionalità è tutto, anche in politica


22 - 07 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 
La professionalità è tutto, anche in politica
Sostenere che le circostanze mettano più volte nel corso della nostra vita ognuno di noi nella condizione di dover prendere decisioni non è un’opinione, bensì un fatto. È possibile affermare che la vita stessa sia un susseguirsi di decisioni a volte liberamente prese, ovvero frutto di un meditato ragionamento o dettate dall’istinto e dal sentimento, altre volte imposte da terzi alle quali siamo costretti, per opportunità o convenienza, a sottometterci pur non condividendole. In ogni caso, attraverso le nostre decisioni, operiamo delle scelte: quelle passate hanno contribuito a realizzare il presente di ognuno di noi e quelle future disegneranno il nostro domani. Grazie proprio alle scelte fatte, negli anni accumuliamo quel bagaglio di conoscenza, esercizio e valutazioni delle nostre decisioni che è possibile definire in un’unica parola: esperienza.
Nella nostra sfera privata, utilizziamo tutti i giorni in modo più o meno consapevole l’esperienza acquisita mettendola a disposizione di noi stessi, dei familiari, dei collaboratori o del datore di lavoro, nell’auspicio che ciò possa essere di aiuto e beneficio, oppure esempi da evitare, nel prendere nuove decisioni, ponendo quindi i migliori presupposti delle scelte che ne conseguiranno. In altre parole, è quello che ci induce a progredire, cioè a renderci migliori nei rapporti con gli altri ed a migliorare la qualità della nostra vita.
In particolare, nel solo ambito della sfera lavorativa, partendo dalla base di una adeguata formazione fornita dalla scuola e dall’università, sono proprio le esperienze dirette in un determinato settore a fornirci quelle competenze specifiche che usiamo poi chiamare professionalità. Tale termine è certamente tra le parole più usate e spesso coccolate, soprattutto negli ultimi anni di crisi e recessione, da chi si occupa a vario titolo di lavoro, economia e di processi produttivi: tutti sono concordi nell’affermare che la professionalità sia il fattore determinante per il successo di una impresa, un valore al quale ispirare tutta l’organizzazione aziendale. Giustamente.
È curioso notare come queste due parole, esperienza e professionalità, abbiano assunto carattere di secondaria importanza quando invece si tratta di un mestiere che riguarda ed interessa il presente ed il futuro di tutti i cittadini: quello del politico professionista. Per certi versi, diventano addirittura fattori negativi e valutati come minus allorché si è chiamati al voto. Certo, riferendosi agli esempi passati, è facile l’obiezione che non sempre i “nostri” politici siano stati campioni di professionalità: anzi la storia ci insegna come più e più volte abbiano esercitato la professione con un occhio particolare al proprio tornaconto personale invece che con la giusta attenzione e spirito di sacrificio per l’interesse collettivo.
Ciò nonostante, il pericolo di generalizzare – e svilire così la decisione di un individuo di dedicarsi professionalmente al mestiere di politico ed alla vita pubblica – può provocare effetti ancora più gravi. Come nella sfera privata, anche nello sviluppo della carriera politica, la professionalità deve essere il risultato di una specifica esperienza quotidiana che parta dai più semplici consigli di zona, sviluppandosi via via a quelli comunali, provinciali, regionali per arrivare a Roma ed in Europa. Solo un percorso di questo tipo, che parte dalla gavetta, basandosi poi sulle caratteristiche di merito e capacità individuali - con una evoluzione dei ruoli che possa consentire loro di essere efficaci nei confronti non solo delle situazioni da affrontare, prendendo appunto le decisioni corrette e facendo le giuste scelte - può renderli forti e determinati rispetto a quelle figure granitiche ed inamovibili che sono i burocrati di Stato nelle pubbliche amministrazioni, ancora più “liberi” di far danno tessendo fili invisibili che inevitabilmente legano lo spirito riformista quando il politico di riferimento non è sorretto da esperienza e competenza, ovvero dalla professionalità del suo mestiere.

Ricordando un certo statista, Alcide De Gasperi, il quale confessò alla moglie che non sarebbe stato capace di fare altro mestiere nella vita che non il politico, viene da chiedersi quanti, tra gli attuali parlamentari provenienti dalla cosiddetta società civile, abbiano mai fatto parte di un consiglio o firmato una delibera comunale, per non parlare poi di quanti abbiamo mai svolto un ruolo da amministratore pubblico, assessore o sindaco di un comune. E quanti, al contrario, siedono su quegli scranni o nelle commissioni solo perché “miracolati” da un novello demiurgo o dalla disponibilità del proprio portafoglio? Chissà…

mercoledì 17 luglio 2013

Renzi, leader o bluff ?


15 - 07 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 
Renzi, leader o bluff?
È un politico che di mestiere fa il sindaco - o viceversa… come preferite – ma se fosse uno sciatore professionista, Matteo Renzi sarebbe certamente tra i campioni dello slalom, in entrambe le specialità, del gigante e dello speciale. Dotato di indubbio talento comunicativo, è estroverso e spavaldo quanto basta, guascone negli atteggiamenti, a volte sfrontato come lo era stato negli anni novanta Alberto Tomba, un campione capace di vincere campionati del mondo ed ori olimpici in quelle discipline.
SENZA RIVALI
Come l’Albertone nazionale con gli sci riusciva ad attirare le simpatie degli italiani, inchiodandoli di fronte allo schermo in occasione delle sue gare, così Renzi riesce nell’impresa di attirare spettatori quando partecipa ai talk show, ai dibattiti politici ed anche quando si concede comparsate veloci in spettacoli, diciamo, meno impegnati ma con grandi indici d’ascolto. E come il primo non aveva a suo tempo rivali nella squadra azzurra che potessero oscurare la sua luce di popolarità, il secondo si ritrova senza competitor di peso nel suo partito politico, il Pd. In sintesi, riesce a piacere a tutti, o perlomeno a molti.

POCA ESPERIENZA?
A ben guardare, tuttavia, è possibile trovare alcune differenze tra i due personaggi. Tomba la Bomba, lo sciatore professionista, non ha mai dovuto scegliere se privilegiare il gigante o lo speciale per ottenere cinquanta vittorie complessive in Coppa del Mondo, oltre alle medaglie d’oro olimpiche e mondiali. Al contrario, Renzi nonostante vent’anni di carriera sulle spalle, ha partecipato solo a una prova di qualificazione per  la competizione d’interesse nazionale nella speranza di vincere il titolo che desidera, peraltro arrivando secondo ed ammettendo sportivamente la sconfitta. Dopo di allora, ha continuato l’allenamento da Palazzo Vecchio, ufficialmente facendo il sindaco, formalmente destreggiandosi tra i paletti del partito, una squadra che non lo ama particolarmente, dove molti vecchi “campioni” lo guardano con sospetto ed alcuni tifosi, gli ultras, non lo sopportano. Trovandosi poi un compagno di squadra alla guida del Paese, di conseguenza sempre sotto i riflettori, scalpita sempre più ed intensifica gli allenamenti nel tentativo di batterlo, ma sempre con un sorriso sulle labbra, lisciandolo e bacchettandolo a secondo delle circostanze e, soprattutto, sorge il sospetto, delle sue convenienze.

UNA POLITICA LOGORANTE
Il talento di Tomba gli consentiva di inforcare gli sci ed affrontare la gara passando attraverso i punti obbligati dei paletti, arrivando al traguardo nel minor tempo che gli era possibile, e così spesso vinceva. Poi riusciva grazie a quel talento unito al suo carattere ad attirarsi le simpatie della gente, quindi popolarità, successo e conseguenti lauti guadagni. Renzi ha un’ottima attrezzatura fatta di predisposizione naturale al ruolo di leader, ma l’impressione è quella che sia talmente concentrato sulla tecnica di come schivare i paletti, disegnando così ampie curve da destra a sinistra e mutevoli traiettorie, da perdere di vista l’obiettivo finale, ovvero che la coppa si solleva percorrendo la pista nel minor tempo possibile, evitando magari di cadere sfiancati in prossimità del traguardo, dove peraltro non ci sono più porte da attraversare e nemmeno paletti da evitare.

ALLA PROVA DEL GOVERNO
I successi sportivi sono il prodotto che ha consentito a Tomba di diventare un ottimo pubblicitario di se stesso, garantendogli fama e successo. Renzi, che di fatto non ha ancora vinto nulla, al contrario, riesce a promuovere molto bene la confezione, ovvero se stesso, facendo così crescere l’aspettativa nazionale nei suoi confronti. Fa bene, sappiamo che tutto ciò è indispensabile per spiccare il volo in politica ed assurgere al ruolo di guida del Paese. Come non augurargli che dopo le ampie curve dei suoi slalom ci sia anche un buon prodotto? In ogni caso,prima o poi, dovrà aprire la scatola che lo contiene: in quel momento, finalmente, gli italiani potranno scoprire di che si tratta e decidere così se acquistarlo o meno.

giovedì 11 luglio 2013

Berlusconi? Non ci resta che pregare…


10 - 07 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su www.formiche.net
All’indomani del varo del governo Letta, dopo aver assistito alle figuracce ed ai maldestri tentativi di un machiavellico Bersani, manifestai l’auspicio che lo Spirito Santo o quantomeno il buon senso potesse ispirare le decisioni dei giudici di Milano, sia per quanto riguardava il processo Mediaset, sia per quella che molti giuristi definiscono farsa del cosiddetto procedimento Ruby. Così non è stato e quello che nelle intenzioni di chi scrive voleva essere semplicemente la speranza di un cittadino qualunque è caduto nel vuoto.
Tra luci ed ombre, sono da allora trascorsi alcuni mesi con il premier Letta abile a destreggiarsi tra i vari mal di pancia degli azionisti principali della sua maggioranza e persino qualche recente flatulenza di un ex tecnico, ex opinionista del maggiore quotidiano italiano, forse anche prossimo ex presidente della Bocconi data la contestazione di alcuni docenti di quell’ateneo.
Quella che ebbi modo di definire la miglior soluzione nella peggiore delle situazioni possibili, sembrava navigare così verso i lidi d’agosto, senza avere le vele spiegate, con un andamento lento ma quantomeno prudente nell’evitare le secche.
Succede però che nell’arco di poche ore sia prima segnalato dal Corriere della Sera un possibile errore tecnico/giuridico nella sentenza d’appello del processo Mediaset. La “svista” dei giudici milanesi avrebbe potuto andare a favore del diavolo di Arcore, facendo scattare i termini di prescrizione per uno dei due reati per i quali è stato condannato anche in secondo grado, mettendo così in discussione i tempi di una sua possibile espulsione dal Senato e la sua interdizione dai pubblici uffici. Poi la Suprema Corte, chiamata a porre la parola fine sulla questione, fissa l’udienza in tempi record al 30 luglio, data certamente lecita sotto il profilo formale, ma talmente vicina per i rapidi tempi della giustizia italiana (sic!) che persino il solitamente compassato Avvocato del Diavolo si dichiara sconcertato.
Inevitabili quindi le reazioni di falchi, colombe, pitonesse ed amazzoni del partito del Diavolo, tutti uniti a proclamarsi solidali attorno al Capo. Si è passati dal citare piazzale Loreto e le monetine del Raphael (episodi che comunque rappresentano una triste  pagina nera della nostra nazione e dei quali dovremmo tutti vergognarci) per arrivare all’ipotesi Aventino con un blocco dei lavori parlamentari. Quest’ultima, mentre scrivo, sembra essere rientrata per lasciare il posto ad una pausa di riflessione degli esponenti del Pdl al fine di valutare la situazione, come del resto il vertice di maggioranza previsto per oggi, come ogni giovedì, è rinviato a domani.
Come a suo tempo auspicai il buon senso dei giudici milanesi, oggi mi ritrovo a sperare nella consapevolezza e nel senso di responsabilità del ruolo istituzionale dei parlamentari pidiellini. Non siano vittime di eccessi ed azioni che possano essere interpretati quale forma di ricatto all’esecutivo per fare pressione nei confronti della Cassazione.
Ci sono diversi motivi per evitare le barricate, ne indico due in particolare. Il primo è l’interesse supremo del Paese: non occorre ricordarne la delicatissima situazione per sostenere la necessità di avere un governo stabile: la nebbia paludosa che si potrebbe profilare in caso di nuove elezioni a breve sempre con le stesse regole delle precedenti è ancora più dannosa delle indecisioni che si possono imputare a Letta. I mercati, che vogliono certezze, non capirebbero e.. non oso e non voglio immaginare le conseguenze.
Secondo motivo: l’evidente ostinazione della giustizia nei confronti del Cavaliere, quella che alcuni definiscono persecuzione, risulta paradossalmente un corroborante per la figura di Silvio Berlusconi, un tonico per aumentare il suo già ampio consenso. Ci sono oltre dieci milioni di italiani che lo hanno votato, con buona pace dei giustizialisti dalla facile morale e di una parte della sinistra forcaiola alla quale si aggiunge un folta schiera di miracolati grillini. Ebbene, un Berlusconi “martire” fuori da palazzo ed una Berlusconi in campo con un simbolo di antica memoria e sentimento, sarebbero poi un richiamo irresistibile anche per i delusi, quelli che si sono sentiti traditi dal fallimento della sua promessa rivoluzione liberale.
Eppoi, amici del Pdl, c’è sempre il Pd che potrebbe dare una mano. Oppure, trovandosi la Cassazione nella città eterna, magari questa volta lo Spirito Santo è più vicino e non si distrae in altre faccende: chissà che  il 30 luglio non si concentri solo nelle vicissitudini di noi poveri italiani, aiutandoci.
Non ci resta che pregare …

mercoledì 10 luglio 2013

Della Valle è distratto, c’è chi scrive e chi compra (Loro Piana)


09 - 07 - 2013Romano Perissinotto

“Caro Presidente le scrivo”… così la distraggo un po’. Diego Della Valle non perde l’abitudine di scrivere quando si trova in stato di fibrillazione. E deve essere molto agitato, dato che il presidente destinatario della missiva non è certamente quello dell’ultima associazione di categoria o dell’antitrust, bensì quel Giorgio Napolitano che, personalissima opinione, tutto potrebbe fare in questo particolare momento della storia della Repubblica, tranne che entrare nel merito della questione Rcs.
L’ottimo imprenditore marchigiano, che ha contribuito con le sue scarpe a diffondere nel mondo il lifestyle italiano, evidentemente vive un particolare momento di confusione per ciò che riguarda faccende estranee al core business del gruppo da lui fondato e che tante soddisfazioni gli ha dato, sia personali sotto forma di grande notorietà e prestigio, sia ovviamente economiche.
Tuttavia, pare che “fare solo le scarpe” vada un po’ stretto al Diego nazionale, impegnato come è da tempo nel diversificare i suoi proventi in altri settori, editoria, finanza e trasporti che poco o nulla hanno a che fare con quelli rappresentativi dell’eccellenza italiana, ovvero le famose 3 F di fashion – food – furniture.
Ed è peraltro un’abitudine diffusa tra i principali attori italiani dei comparti tipici di quell’acronimo: basti solo ricordare i fasti passati dei Benetton, che con i loro maglioncini a V colorati ed una strepitosa campagna pubblicitaria avevano creato uno straordinario fenomeno imprenditoriale negli anni ottanta, per finire poi con perdere soldi, molti soldi, con Telecom Italia… Poi è arrivata Zara, ma questa è un’altra storia.
Curioso invece come nello stesso giorno della lettera in questione, il colosso del lusso francese LVMH rende pubblica la notizia dell’avvenuta acquisizione  -  80% del capitale – di Loro Piana, azienda familiare tutta italiana, leader del cashmere e della lana di altissima qualità, fiore all’occhiello del distretto di Biella, quasi 90 anni di storia, 130 punti vendita nel mondo ed un fatturato previsto per il 2013 di circa di 700 milioni di euro. E’ chiaro anche per i non addetti ai lavori che la cifra messa sul piatto da LVMH – 2 miliardi di euro – è il risultato di una attenta scelta strategica del gruppo francese, imputabile a quel principio di good will che induce un investitore a pagare più di quanto sarebbe assunto dai numeri allorché l’acquisizione si presume possa portare  a sinergie operative con altre aziende partecipate.
Venendo quindi al punto, ciò che è interessante notare è la comune frenesia di due imprenditori. Diego Della Valle, patron della Tods ed industriale del lusso, è agitato per la questione Corriere della Sera – tanto da scrivere a Napolitano – come lo era stato alcuni mesi orsono per la faccenda Generali. Il suo collega d’oltralpe Bernard Arnault, patron di LVMH,  è anche lui preso dalla smania di acquisizioni, ma, a differenza del nostro,  tutte mirate a consolidare la propria leadership  nei comparti riconducibili sostanzialmente alla parola “lusso”, ovvero quel segmento di mercato che è il target degli oltre 60 brand attualmente controllati dall’abile e lungimirante Arnault. Guarda caso, là dove noi italiani siamo maestri e dove tutti gli indicatori prevedono ottime performance future in termini di margini operativi.
Mentre l’italiano scrive, il francese compra: e compra italiano. Ricordando con un pizzico di nostalgia la soddisfazione ed il piacere provato quando riuscii a permettermi con i miei primi guadagni un abito su misura in filato Tasmania di Loro Piana, che dire? Bravò, Monsieur Arnault: continuii così nell’auspicio che sia da esempio per i nostri ansiosi e forse distratti Della Valle.

lunedì 8 luglio 2013

Che cosa insegna il caso Natuzzi

05 - 07 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
Che cosa insegna il caso Natuzzi
Con le sue dichiarazioni riportate sui principali giornali, Pasquale Natuzzi ha probabilmente innescato il timer di una bomba ad orologeria pronta a deflagrare con forza in quello che è (era?) il principale distretto italiano dell’imbottito per numero di pezzi prodotti.
La vicenda è legata al suo precedente annuncio di un piano industriale che prevede il taglio di 1.726 dipendenti della Natuzzi Spa. La causa di un così pesante ridimensionamento? La creazione – sostiene Natuzzi –  ad opera dei suoi principali concorrenti di un “distretto fotocopia”, ovvero il proliferare di manodopera a bassissimo costo, molti cinesi, ma (e sarebbe ancor più grave) anche cassaintegrati da aziende in crisi che si ritrovavano poi a lavorare in sottoscale e capannoni di fortuna, pagati ovviamente in nero dagli stessi cinesi o da qualche imprenditore locale con pochi scrupoli.

La produzione di questi “laboratori” – denuncia Natuzzi – andava poi a fornire altri marchi commerciali noti, promozionati da famosi personaggi dello spettacolo. In sostanza, costi di produzione ridotti all’osso, investimenti massicci in comunicazione e pubblicità, prezzi di vendita impossibili da applicare per una produzione “lecita” … et voilà, il gioco è fatto: l’ex re del salotto si ritrova spiazzato ed è costretto a tagliare.
La denuncia di Natuzzi è molto grave e le accuse – se provate – rivolte anche all’ex presidente del distretto, oggi senatore eletto nelle file di Scelta Civica, sono davvero destinate a trasformare in una nuova Hiroshima quell’area martoriata, probabilmente non solo quella, date le risorse in termini di denaro pubblico impiegato. Basti ricordare che non più tardi dello scorso febbraio, uno degli ultimi atti del governo presieduto da Mario Monti era stato la firma di un accordo di programma per il rilancio delle imprese dell’imbottito di quel distretto.
L’accordo, prevedeva uno stanziamento di 101 milioni di Euro, dove il ministero dello Sviluppo concorreva per 40, la regione Puglia per altrettanti, i restanti 21 la Basilicata. La priorità dell’accordo era appunto il reimpiego dei lavoratori espulsi dalla filiera produttiva colpita dalla pesante crisi dei consumi e dalla concorrenza di produzioni estere. Peraltro, anche il buon Pasquale Natuzzi, dopo aver abbondantemente ricorso in passato a finanziamenti pubblici, a suo tempo non si era in trattenuto dal delocalizzare la produzione in Cina… Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni, se a Natuzzi arriveranno querele o se riuscirà a provare le sue accuse.
Oggi, quello che resta di questo comunque triste, addirittura surreale (secondo di come verranno chiarite le vicende) epilogo di quello che era un distretto fiorente – peraltro non solo di quello, visto che altre realtà, come per esempio la stessa Brianza, soffrono dello stesso problema – è l’amara conferma di come si stia sperperando un immenso comune patrimonio, quello rappresentato dal supermarchio made in Italy, un valore aggiunto immateriale che necessita di maggiori tutele e di una certificazione che definirei etica di tutta la filiera produttiva.
Sarebbe davvero un primo passo importante per garantire il talento e l’abilità manifatturiera delle nostre piccole e medie imprese, e non solo quelle, ne possano in futuro godere ancora compiutamente, potendo in questo modo mantenere una monodopera specializzata ovviamente più costosa e creare così nuova ricchezza a beneficio di tutto il sistema Paese, nel contempo confidando che uno Stato meno assetato e pervasivo rientri presto nei suoi esclusivi parametri d’azione, evitando finanziamenti ed interventi maldestri rivelatesi in molte altre occasioni quali solo sprechi inutili.
La percezione che i consumatori stranieri hanno del nostro lifestyle è grande, direi enorme: iniziamo quindi nel non deluderli con manufatti che, nei processi produttivi, di italiano hanno ben poco… spesso anche quando vengono realizzati in Italia. Un cliente deluso, o peggio confuso o ingannato, è un consumatore perso. Non possiamo permettercelo.

mercoledì 3 luglio 2013

Forza Italia e l' Italia Futura

Forza Italia, Italia Futura e il presidenzialismo che serve all’Italia

01 - 07 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
Forza Italia, Italia Futura e il presidenzialismo che serve all'Italia
Lettera-intervento di Romano Perissinotto che dopo aver letto l'intervista di Formiche.net al presidente di Italia Futura, Nicola Rossi, scrive che...
Caro Nicola,
leggo la tua intervista su formiche.net sul tema tanto dibattuto in questi giorni di apatia governativa, Forza Italia, ed è spontanea una conseguente riflessione su Italia Futura.
Noi che abbiamo vissuto in prima persona la storia di Italia Futura, sappiamo bene quanto sale abbiamo dovuto ingoiare quando un altro sogno si è infranto sugli scogli dell’opportunismo politico. Abbiamo ancora negli occhi l’espressione confusa dei visi e nelle orecchie i commenti di molti tra quelli che parteciparono alla convention di Roma del novembre scorso, quella che peccando di una certa arroganza e molta miopia veniva presentata quale soluzione ideale per l’agognata Terza Repubblica. Alcuni di noi, in verità pochi in modo diretto ed esplicito, altri defilandosi in silenzio, capirono immediatamente l’errore che si stava allora commettendo, ovvero quello di partecipare alla preparazione di un fritto misto, Scelta Civica,  che si è scoperto ancora più indigesto per gli elettori rispetto a quello criticato poco tempo prima con editoriali sul sito e dichiarazioni ai media, palesandosi quindi irrilevante dopo il voto.
Allora, la tua onestà intellettuale ti portò a non partecipare in prima persona alle vicende della genesi di quella maionese di culture ed esperienze così diverse da poter convivere solo a condizione di una discesa  – parlare oggi di salita parrebbe quasi una presa in giro per l’interessato  -  di Mario Monti, un tecnico rivelatosi poi politico allo sbaraglio nella difficile interpretazione del ruolo di leader nella commedia della campagna elettorale, nonostante gli insegnamenti di guru americani. Per amore di verità, è doveroso ricordare anche la pessima performance di alcuni attori comprimari.
Qui mi fermo con la recente storia. Sarebbe ingeneroso nei confronti di Italia Futura continuare a rimarcare gli errori fatti e le opportunità mancate. Peraltro, con la tua recente nomina a presidente, sono certo riuscirai a riprenderne le fila e guidarla nella direzione del suo spirito originale, quello di un movimento liberale, popolare e riformatore.
Ma è proprio questo il punto centrale che l’accomuna a Forza Italia e che desidero con questa mia ribadire alla tua attenzione. Come tu stesso hai avuto modo di dichiarare in passato, se Berlusconi avesse mantenuto la promessa rivoluzione liberale annunciata con Forza Italia, Italia Futura non avrebbe avuto senso di esistere. Che Berlusconi abbia fallito è di tutta evidenza: è stato lo stesso Cavaliere ad ammettere di non essere riuscito a trasformare il Paese nel renderlo meno burocratico, meno statalizzato e meno costoso. Ed oggi, annunciando Forza Italia, ribadisce il fallimento del partito Pdl, quindi, essendone il leader, ancora una volta il suo personale.
Italia Futura e le associazioni liberali e riformiste recentemente nate – che saluto ed appoggio con favore –  facciano però molta attenzione a non commettere gli errori di chi è accecato dal solo pregiudizio o peggio è in malafede, ovvero quello di tornare sempre sulle cause di quel disastro: è un ritornello che ha stufato e soprattutto non serve a nessuno, tanto meno al Paese. Valutino bene i contenuti che saranno proposti dalla futura Forza Italia, facendo tesoro ma a prescindere dagli errori commessi dal suo settantasettenne leader in pectore, comunque ancora in grado di lottare e capace di raccogliere consensi.
Concludo quindi con un auspicio, ovviamente personalissimo. Quello che il fallimento della sua azione non significhi precludere futuri scenari di percorsi comuni che possano realizzare quel sogno, magari iniziando nella condivisione  e nel supporto dell’idea che solo una riforma in chiave presidenzialista della Repubblica possa modificare lo stucchevole status quo, consentendo a chi arriva primo di vincere le elezioni e poter così governare davvero il Paese senza dover cedere alle istanze di deboli coalizioni elettorali che, come abbiamo visto, portano solo ad una soporifera paralisi. 
Con stima e simpatia
Romano Perissinotto

Professor Monti, ma che cosa sta combinando?

Professor Monti, ma che cosa sta combinando?


02 - 07 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net 
Professor Monti, ma che cosa sta combinando?
Quell’evidente insofferenza ed incapacità di scendere nella quotidianità dell’impegno politico, diverso da quello più prestigioso e mediatico di governo, si è recentemente tramutato in un palese fastidio.
Alcuni media le hanno definite minacce, altri avvertimenti, altri ancora semplici colpi di tosse dovuti ai capricci di un’estate che rinvia il debutto. Con le sue dichiarazioni sul governo Letta, va dato atto a Mario Monti di aver realizzato almeno un’impresa: far sorridere il Presidente della Repubblica. Non sapremo mai se la reazione istintiva di Napolitano è dovuta alle sue difficoltà ad immaginare il lato bellicoso dell’ex tecnico, oppure sia un elegante giudizio poco lusinghiero sul politico Monti, frutto di un suo rapido calcolo sui numeri rappresentati da Scelta Civica in Parlamento, ovvero sul peso e sull’influenza che questa possa avere. La lunga carriera del nostro Presidente, avvezzo ai meccanismi ed alle logiche della politica, induce a propendere per la seconda ipotesi.
Ai tempi della sua discesa in politica, il sospetto che il professor Monti non sapesse far di conto – politico si intende – era forte. Dopo alcuni mesi di travagli e baruffe dei suoi colonnelli, il generale in loden ha probabilmente dimenticato di disporre di una poderosa armata di ben 38 deputati e 16 senatori, peraltro organizzati in due gruppi parlamentari preda di continue trepidazione interne, vedi appunto i rapporti pastorali con gli esponenti dell’Udc ed i continui mal di pancia dello sparuto drappello liberale proveniente da Italia Futura. Forte di questo potente esercito rischia davvero di apparire come un botolo che abbaia ma è privo di canini.
In soccorso sono poi giunti i suoi due capigruppo, Dellai e Susta, novelli pompieri di un fuoco di paglia, che con toni più democristianamente concilianti scrivono a Letta rassicurandolo di non aver alcuna intenzione di metterlo in discussione, anzi di volerlo rafforzare con la loro iniziativa di organizzare incontri finalizzati a chiarire i patti di governo (?) che li lega alla maggioranza. C’è da star in ansia per le sorti della pancia di Letta, che probabilmente si contorceva per l’irresistibile risata che nel frattempo si sarà fatto…
A fronte di un apparente approssimativo atteggiamento, resta tuttavia da chiedersi quali siano i reali obiettivi dell’uomo Monti. Dopo l’epilogo dell’esperienza di governo ed essere stato definito da taluni come l’inviato della Provvidenza, più volte ha manifestato la sua personale intolleranza ad essere relegato a “semplice” senatore della Repubblica, ruolo peraltro ben retribuito ma che, evidentemente, non gli consente di soddisfare appieno il suo grande ego.
Quell’evidente insofferenza ed incapacità di scendere nella quotidianità dell’impegno politico, diverso da quello più prestigioso e mediatico di governo, si è recentemente tramutato in un palese fastidio, così greve da sopportare che egli stesso non ha perso occasione di renderlo pubblico, affermando di dolersi ogni qual volta gli capita di rientrare in Italia da un soggiorno all’estero.
Ma se per soddisfare propria vanità o semplicemente togliersi quel fastidioso prurito, nella ricerca di un protagonismo perduto, Monti deve ricorrere ad alzare il pelo del cappotto, mettendo un (innocuo) sassolino nelle scarpe di Letta, le frasi pronunciate sul governo suonerebbero davvero il risultato di una sua mente cinica, altro che civica.
Un altro sospetto si fa strada: quello che l’ambizione di tornare in Europa con un incarico autorevole che gli consenta una forte presenza sui media, magari quello oggi affidato ad un certoVan Rompuy in scadenza di mandato, lo riporti ai fasti europei di un tempo, incurante e lontano dalle misere e terrene vicende di un Paese in grave difficoltà che con Letta, giova ricordarlo per spezzare comunque una lancia a suo favore, ha trovato la migliore soluzione nella peggiore delle condizioni possibili post elezioni: condizione che anche il prof. Monti, forse a sua insaputa e nonostante gli odierni rimpianti, ha contribuito a creare con una scelta che, giorno dopo giorno, si appalesa sempre più inutile.
Ma si sa, come recitava uno straordinario Al Pacino ne “L’avvocato del Diavolo” la vanità è decisamente il peccato preferito dal principe delle tenebre: il nostro Keanu Monti sembra davvero non esserne immune e lieve comunque gli parrà la condanna “all’inferno” europeo.