mercoledì 17 aprile 2013

Mozione "extra-Fare" per il Congresso di Fare per Fermare il Declino

Riteniamo che i congressi regionali (4-5 maggio) ed il congresso nazionale (11-12 maggio) di Fare rappresentino un momento importante per la realizzazione degli obbiettivi che ci siamo proposti in occasione dell'incontro di sabato 13 aprile a Bologna del gruppo #Aperitour,  (vedi l'editoriale dell'amico Massimo Brambilla http://www.formiche.net/2013/04/14/tempo-ripartire-uniti-appello-base-italia-futura/) .
Ecco il documento che esprime le posizioni condivise durante l'incontro con i primi firmatari.  
 
 
Documento di Bologna 13 aprile 2013
Mozione "extra-Fare" per il Congresso di Fare per Fermare il Declino (*)

Introduzione
La conseguenza più preoccupante del risultato elettorale del 24 e 25 febbraio 2013  è data dalla evidente emarginazione delle istanze di modernizzazione del Paese. I contenuti delle migliori piattaforme programmatiche proposte agli elettori negli ultimi dodici mesi (il manifesto "Fermare il declino", il programma di Matteo Renzi per le primarie del centrosinistra e l'agenda Monti) sono praticamente assenti nel dibattito pubblico, mentre nel PdL è ormai residuale la cultura liberale che pure ne aveva accompagnato gli esordi. I rappresentanti delle principali forze parlamentari appaiono oggi incapaci di offrire soluzioni concrete per un credibile percorso di contrasto del declino incipiente e di ripresa economica e sociale.
"Fare per Fermare il Declino" e "Scelta Civica con Monti per l'Italia" hanno - ognuno rispetto ai proprio obiettivi iniziali - perso le elezioni. Esistono ragioni contingenti e ragioni costitutive che spiegano il deludente risultato elettorale delle due formazioni, sulle quali è ormai poco utile addentrarsi. E' più opportuno concentrarsi sul dopo-elezioni e sulle prospettive future.

La visione di fondo: modernizzare l'ItaliaMolte delle patologie della democrazia italiana degli ultimi venti anni - dall'assenza di competizione interna ai partiti alla corruzione più o meno diffusa, dalla scarsa efficacia del processo decisionale all'esplosione della spesa pubblica regionale - sono la conseguenza di riforme istituzionali non fatte o pasticciate. Alla diffusa illegalità dei metodi di finanziamento e di funzionamento dei partiti della Prima Repubblica, non si è saputa opporre una disciplina della vita dei partiti che finalmente attuasse l'articolo 49 della Costituzione e li rendesse trasparenti, responsabili e contendibili.
La politica economica è stata altrettanto debole, vittima e insieme carnefice della diffidenza degli italiani per il cambiamento. Le inadeguatezze dell'impianto fiscale e burocratico, della giustizia civile, della politica infrastrutturale e del sistema del credito hanno contribuito a tenere l'Italia alla "periferia" della competizione globale e dei flussi d’investimento. Il funzionamento del mercato del lavoro, del welfare e del sistema d'istruzione scolastica ed universitaria, lungi dal contrastare le diseguaglianze, le ha alimentate: la Seconda Repubblica ha fallito nell'unica vera missione dello Stato contemporaneo, la valorizzazione continua del capitale umano. Ne sono prova i bassi tassi di occupazione (soprattutto femminile), la disoccupazione di lungo periodo, la natalità stentata, l'emigrazione di studenti e lavoratori qualificati, l'incapacità di attrarre talenti stranieri, la produttività zoppicante. Sventare il default del sistema formativo, o ridefinire il perimetro e le funzioni degli ammortizzatori sociali per orientarle ai nuovi veri bisogni sociali, è tanto cruciale quanto evitare la bancarotta delle finanze pubbliche, se non vogliamo che la crisi metta radici profonde, compromettendo persino la funzionalità degli ascensori sociali.
Non esistono ricette salvifiche per la crescita: è una partita che si gioca in buona parte oltre i confini nazionali (in tal senso, è fondamentale avere una prospettiva europea nella costruzione di un nuovo soggetto politico) e che, sul piano interno, sarà vinta se sapremo governare l'ordinario, più che lo straordinario. Ai tanti "decreti-sviluppo" che abbiamo conosciuto negli anni, poco più che interventi al margine, dovremo saper sostituire riforme sistemiche del core business dello Stato.
Occorre riabilitare le istituzioni, rafforzandone l'indipendenza dalle pressioni di caste e corporazioni private e pubbliche, e c'è da riabilitare l'economia di mercato e la cultura imprenditoriale, l'unico possibile motore di prosperità. Abbiamo bisogno, per dirla con Tim Morgan del Centre for Policy Studies, di "un capitalismo che serva tutti, non di una sua variabile corrotta che faccia gli interessi di una minoranza". Si tutelano gli interessi dei cittadini, e non dei potentati finanziari e clientelari, quando si è severi con chi abusa della fiducia dei consumatori, dei piccoli azionisti e dei risparmiatori, quando si tagliano miliardi di euro di sussidi a imprese private, pubbliche e parapubbliche per finanziare il taglio delle tasse a tutti, quando lo scopo delle regole è incoraggiare la concorrenza dei servizi e l'innovazione. Eliminare gli ostacoli per l'accesso al credito delle imprese neonate, le start-up, e permettere loro di godere di tecnologie e infrastrutture digitali avanzate è una battaglia di "equità".
Infine, c'è da restituire una valenza etica all'impegno politico. La politica riacquisterà dignità, e qualche giovane se ne innamorerà di nuovo, quando rifiuterà di essere mera gestione del potere e tornerà almeno in parte al suo scopo originale: colmare il vuoto tra i cittadini, fungere da luogo d'incontro della polis, essere l'arma con cui la società sfida l'umana paura per il nuovo, il diverso e l'estraneo.

Dopo il voto, l'opportunità sprecata da Scelta Civica
"Scelta Civica" sta sprecando il dopo-elezioni. Per la formazione guidata da Mario Monti, le settimane successive al 25 febbraio sono state caratterizzate da decisioni di metodo e di merito che hanno decretato un sostanziale allontanamento dalle prospettive che avevano animato la nascita del progetto (il quale, nonostante ambizioni di partenza più sfidanti, ha comunque raccolto circa tre milioni e mezzo di consensi). Affinché "Scelta Civica" potesse essere un pilastro intorno al quale costruire una forza politica autenticamente riformatrice, sarebbe servita l'inaugurazione di una fase costituente aperta e allargata. La debolezza parlamentare avrebbe potuto tradursi in una lucida sfida per il futuro, una dichiarazione di disponibilità ad essere un affluente per un nuovo e più grande fiume. C'è invece stata la cristallizzazione dello status quo, con la nomina senza meccanismi di trasparenza di organismi dirigenti, con la netta prevalenza nelle cariche di vertice dell'associazione e dei gruppi parlamentari di esponenti di estrazione cattolico-sociale (a scapito della cultura riformatrice, laica e liberale che aveva nell'associazione Italia Futura il suo baricentro), un approccio nella gestione delle prime settimane in Parlamento da forza politica "di sostegno" al PD e una preoccupante rivendicazione anti-bipolarista di alcuni dei principali esponenti.

Rivolgersi, legittimandolo, all'elettorato liberale finora "custodito" dal PdL
Una base da cui partire è il riconoscimento che lo spazio in cui trovano premio le idee di libertà e competizione è l'area politico-culturale alternativa alla sinistra, che in Italia ha caratteristiche di conservazione dello status quo. C'è da accettare l'evidenza che la competizione elettorale nelle grandi democrazie ha inevitabilmente natura binaria e che la riconoscibilità e l'attrattività di una forza politica è data dalla percezione che essa possa tradursi non in una mera testimonianza elettorale, ma in una concreta opzione di governo.
Con questa premessa, il progetto politico che intendiamo costruire dovrebbe rivolgere un'attenzione particolare anche a quella parte di Italia che in questi anni ha dato il proprio consenso a Silvio Berlusconi ed al PDL non per ingenuità o per incapacità di intravederne i limiti, ma perché ha ritenuto che nella cabina elettorale non si potesse rimanere equidistanti tra “meno tasse” e "anche i ricchi piangano”. Uno degli errori tanto di Fare quanto di Scelta Civica è stato quello di aver messo sullo stesso piano il politico Berlusconi - il cui fallimento è conclamato - e quel mondo di speranze, rivendicazioni ed aspettative che il "berlusconismo" ha suscitato in una parte importante dell’elettorato. E' necessario, di conseguenza, riconoscere le legittime ragioni di chi ha continuato a votare per il centro-destra e provare a fornire a queste persone una rappresentanza migliore, un modello di rappresentanza nuovo e più adulto, laico e liberale non solo a parole e distante da ogni populismo.

Anticipare Matteo Renzi, non seguirlo
Finchè Matteo Renzi sarà un esponente di questo Partito Democratico e del centro-sinistra, potrà essere considerato un interlocutore per il comune obiettivo della modernizzazione del Paese, delle istituzioni e del sistema politico, ma non potrà rappresentare una leadership per la nostra area politica, né un'opzione elettorale. Se invece il sindaco di Firenze decidesse di lasciare il PD, in favore di una aggregazione squisitamente liberal-democratica compatibile con le nostre posizioni di politica economica e la nostra alternatività alla sinistra, dovremmo certamente provare ad aprire con lui un tavolo di confronto. Ciò detto, la nostra nuova iniziativa politica non potrà giocare di rimessa rispetto alle scelte contingenti altrui: dobbiamo ambire ad essere un movimento che innova il sistema politico, non che segue le eventuali "rotture" altrui.

Un'opportunità per Fare per Fermare il Declino: essere una leva per un nuovo soggetto comune
Nonostante i comprensibili problemi di governance interna (palesati pubblicamente in modo forse eccessivo) a cui il congresso di maggio dovrebbe dare una prima necessaria risposta, oggi Fare per Fermare il Declino ha un'opportunità preziosa, che non va sprecata. L'opportunità è quella di rappresentare una possibile - non esclusiva, ma importante - infrastruttura per l'auspicabile processo di aggregazione di forze e personalità ancora in cerca di una casa politica in cui si parli il linguaggio dell'innovazione e del merito, della competizione e della responsabilità individuale.
Non mancano i rischi, che spesso frenano più d'uno dall'avvicinarsi a Fare: primo, che il movimento politico finisca per divorare sé stesso a causa delle incompatibilità personali tra alcuni suoi esponenti (nessuno vorrebbe assistere a scissioni post-congressuali, ad esempio); secondo, la tempistica degli eventi politici (al momento, una variabile indipendente), in primis la scelta di un posizionamento strategico, finisca per inficiare il consolidamento "interno". Sarà compito di quanti dal congresso verranno investiti di ruoli di rappresentanza e gestione saper evitare tali rischi.

Una strada da fare insieme: gli impegni da assumere
Per quanto esposto sopra, allo scopo di testimoniare l'importanza e l'urgenza di una nuova fase costituente per quello che nel corso del 2012 usavamo definire il "partito che non c'è", i firmatari di questo documento:
- invitano il prossimo presidente eletto di Fare e i prossimi membri eletti della Direzione Nazionale ad impegnarsi insieme ai sottoscritti nell'organizzazione entro i prossimi mesi una conferenza politico-programmatica aperta e plurale, con la quale porre le basi di un percorso di costruzione di una forza politica capace di rappresentare un'opzione elettorale credibile e "utile" per un vasto elettorato alternativo alla sinistra e ad ogni forma di qualunquismo e populismo;
- invitano i promotori e i simpatizzanti di altri movimenti di natura riformatrice, liberale e liberal-democratica ad esplicitare la loro adesione a tale processo di collaborazione e, in prospettiva, di unione;
- propongono la costituzione di un comitato promotore di un pacchetto di proposte di legge di iniziativa popolare e di referendum abrogativi, su temi economici (coerenti peraltro con le istanze e le proposte fondative di Italia Futura, di ZeroPositivo, di Outsider, del manifesto Fermare il Declino e di molti altri movimenti di stampo riformatore) e su temi istituzionali (tra cui la riforma della legge elettorale, la democrazia interna ai partiti, il sistema presidenziale e il superamento del bicameralismo perfetto), con cui offrire agli italiani un reale strumento di partecipazione politica e affermare nel dibattito pubblico dei prossimi mesi l'importanza di alcune cruciali riforme sistemiche;
- supporteranno i candidati al congresso di Fare che dichiareranno la loro adesioni alle tesi della presente mozione.

Prime firme
Piercamillo Falasca, Marco Faraci, Romano Perissinotto, Luca Bolognini, Massimo Brambilla, Fabio Callegari, Lorenzo Manfro, Umberto Villa, Federico Brusadelli, Enzo Raisi, Luca Argentin, Maurizio Grilli, Alfredo Bardozzetti, Marco Mitrugno, Lorenzo Giammarchi, Simone Paoli, Antonio Grizzuti, Fabrizio Gherardi  
(*)



Ricordo che per poter votare ai congressi occorre aderire a Fare entro il 28 aprile p.v. Informazioni sul sito www.fermareildeclino.it

 
 

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