lunedì 29 aprile 2013






Il giustizialismo anti Berlusconi stia alla larga dal governo Letta


29 - 04 - 2013 Romano Perissinotto

Il giustizialismo anti Berlusconi stia alla larga dal governo Letta

Con buona pace dei paladini della giustizia, i molti moralisti spesso senza la morale della responsabilità, mi auguro solo che le possibilità del nuovo esecutivo non vengano inficiate da sentenze di condanna che sarebbero un disastro non per il Cavaliere, bensì per il Paese...
Fossimo all’ippodromo, potremmo dire che ieri, al Colle, il “Governo al tondino” ha mostrato ai cittadini lo stato di forma dei suoi ministri, oggi il “governo al via” si accinge con il voto di fiducia ad iniziare la sua corsa.
Non ci saranno sorprese al traguardo. Chi nel Pd ha gridato allo scandalo, all’inciucio, ora abbassa le orecchie, chi probabilmente ha colto l’occasione per un po’ di propaganda personale, rientra nei ranghi. I vari Puppato, Civati, Bindi dimostrano come non esiste un conflitto generazionale: la miopia e l’opportunismo è una caratteristica trasversale rispetto all’età anagrafica. Ne escono malridotti, perlomeno quelli ancora ancorati agli steccati della Seconda repubblica, trincerati rispetto alla paura di un tweet di protesta della base o da vecchi rancori pregiudiziali nei confronti dell’altra parte.
Sorride il Cavaliere e ne ha tutte le ragioni. Nell’arco di pochi mesi è riuscito a mostrare il meglio di sé. Non solo nell’attività dove non ha eguali, nella campagna elettorale, ma anche per come ha gestito il post voto, disponibile al dialogo e senza mai prevaricare il ruolo dell’avversario, anzi mettendosi a disposizione ed incitandolo a fare. Il povero Bersani, non ha colto l’attimo.
Con Monti poi è andato oltre: non solo il professore della Bocconi lo ha indicato come “il più bravo di tutti”, ma non è stato ermetico nel dichiarare che la compagine politica che si era organizzata attorno alla sua salita in politica, avrà un futuro comune con il Pdl. E sono stati poi alcuni esponenti di Scelta Civica, in particolare Andrea Romano, a confermare la pochezza di quel progetto che, in definitiva,  è stato solo un sassolino nella scarpa del Cavaliere durante la campagna elettorale. Il direttore di Italia Futura dovrà rispondere, prima o poi, di scelte incomprensibili che hanno trasformato un think tank liberale in un biglietto di sola andata per il Parlamento per lui e pochi altri. Vedremo.
Dicevamo, governo al via con un’ampia maggioranza a disposizione e, dall’altra parte, un manipolo di impreparati, i miracolati grillini, all’opposizione. Un nuovo bipolarismo de facto, a mio avviso, le prove tecniche di uno scenario futuro completamente diverso rispetto a quello attuale.  Non ci è dato di sapere cosa succederà e molte sono le variabili e le incognite legate al destino del Paese nelle prossime settimane. Tuttavia, la compagine di Letta pare solida, così come deve essere per incidere là dove è necessario, in quel consesso europeo dove oramai si decidono i destini delle nazioni del vecchio continente.
Su tutto, però, incombe la nuvola nera del Tribunale di Milano con i processi a carico di Berlusconi. Con buona pace dei paladini della giustizia, i molti moralisti spesso senza la morale della responsabilità, mi auguro solo che le possibilità del nuovo esecutivo non vengano  inficiate da sentenze di condanna che sarebbero un disastro non per il Cavaliere, bensì per il Paese:  farebbero di colpo riaccendere  il fuoco di uno scontro frontale che brucerebbe le intese raggiunte, erigendo un muro invalicabile ed una nuova montagna di chiacchiere, discussioni, tensioni. In sintesi, una nuova paralisi.
Nei giorni scorsi, auspicavo metaforicamente l’illuminazione dello Spirito Santo nel conclave del Tribunale di Milano. Oggi la speranza è più laicamente quella che prevalga il buon senso, una ratio superiore che trascenda le presunte responsabilità penali di Silvio Berlusconi e che i bunga bunga rimangano solo un triste scivolone comportamentale di un ex premier rivelatosi oggi il principale artefice di una nuova fattiva opportunità di governo. Peraltro, ne sono certo, ha gettato i semi di un futuro quadro istituzionale che davvero potremo chiamare la Terza Repubblica. Non si ritorni alla seconda!

lunedì 22 aprile 2013

Napolitano bis e quella (sana) voglia matta di elezione diretta del capo dello Stato


22 - 04 - 2013  Romano Perissinotto

pubblicato su www.formiche.net

Napolitano bis e quella (sana) voglia matta di elezione diretta del capo dello Stato
 
Da oggi è inutile negare che il “peso” del nuovo Presidente prevarica di fatto quelle che sono le responsabilità e prerogative che la Carta gli attribuisce, rendendolo una sorta di padre saggio della Nazione che vigila e dirige dal Colle l’operato dei rappresentanti del popolo indisciplinati e litigiosi, i quali, quantomeno, rieleggendolo hanno acclarato i loro limiti ed incapacità...
 
  
Caro direttore,
che cosa rimane di un tranquillo weekend di politica 2.0, di imbecilli in piazza che affettano mortadelle, di monetine lanciate stile Raphael di antica triste memoria e, soprattutto, di un pericoloso demiurgo “aizza ingenui” che considera la democrazia come una forma di governo dove la sovranità debba appartenere… solo a lui?
Sarebbe facile oggi archiviare i giorni che hanno portato all’elezione bis di Giorgio Napolitano come l’ennesima sconfitta dell’attuale rappresentanza parlamentare, ovvero di quel mix di pseudo innovazione, impreparazione e confusione scaturita dalla tornata elettorale dello scorso febbraio. Ancor più facile infierire su di un partito e sulle incomprensibili non decisioni del suo leader: destino beffardo quello di Bersani, persona onesta ma sprovvista di quel carisma necessario per essere leader di una maionese di cultura comunista e filo cattolica che, alla prima prova dei fatti, è impazzita di fronte alle proprie evidenti contraddizioni. Troppo facile, quindi inutile.
Per noi cittadini, al contrario, è più difficile fare un esame di coscienza. Sarebbe per noi ipocrita puntare il dito verso l’impotenza dei nostri rappresentanti senza chiederci se non è invece l’assetto della Repubblica, ovvero le sue regole costituzionali, data la frammentazione dell’elettorato, siano ancora adeguate per esprimere una forma di governo che possa finalmente occuparsi dei problemi reali di un Paese oramai in ginocchio.
Salvo rare eccezioni, abbiamo continuato imperterriti a parlare della “più bella del mondo”, dell’unico faro e pilastro della Repubblica, senza renderci conto che i principi ispiratori della Carta si basavano sulla paura dei costituenti che mai più potesse ripetersi un ventennio dittatoriale che portò alla tragedia del conflitto bellico e della guerra civile. Le buone intenzioni di allora rischiano oggi, paradossalmente, di portare proprio all’avvento di un nuovo regime autoritario: purtroppo la storia ci insegna che è l’epilogo di un combinato disposto di recessione economica e forti tensioni sociali.
 
Quindi, indipendentemente dagli incerti esiti sulla formazione del nuovo governo che nascerà a seguito dell’elezione storica di Napolitano, che rimane probabilmente la migliore nella peggiore delle situazioni rappresentative, l’auspicio è che si abbia il coraggio di riconoscere i limiti evidenti della legge fondamentale dello Stato per quanto riguarda i poteri dell’organo amministrativo e vi si ponga rapido rimedio.
 
Da oggi è inutile negare che il “peso” del nuovo Presidente prevarica di fatto quelle che sono le responsabilità e prerogative che la Carta gli attribuisce, rendendolo una sorta di padre saggio della Nazione che vigila e dirige dal Colle l’operato dei rappresentanti del popolo indisciplinati e litigiosi, i quali, quantomeno, rieleggendolo hanno acclarato i loro limiti ed incapacità.
Siano allora i cittadini a scegliersi il loro Presidente, la loro guida e il loro capo dello Stato che governi il Paese senza i lacci e i troppi limiti operativi che un eccesso di democrazia impone: che sia proprio questa la miglior forma di democrazia possibile e sostenibile? Penso di sì: personalmente, non vorrei rimpiangere la monarchia ereditaria.

sabato 20 aprile 2013

Il primo grande errore di Matteo Renzi si chiama Prodi


19 - 04 - 2013  Romano Perissinotto

pubblicato su www.formiche.net

Il primo grande errore di Matteo Renzi si chiama Prodi

 
E’ arrivato da Firenze in treno, in jeans e giacca sportiva, asole scucite e con un trolley per la biancheria di ricambio. Niente auto blu, niente scorta e via a prendere un taxi per raggiungere i “suoi” eletti a cena e… decidere cosa fare. Disinvolto, disponibile quanto basta con i giornalisti che lo assediavano, sorridente con la gente che gli chiedeva una foto. E’ il Renzi aspirante leader che conosciamo.
La sera prima, in tv, sparava bordate e siluri, eccedendo a volte nei toni, al candidato Presidente della Repubblica, Franco Marini, un giovane ottantenne che il suo segretario Bersani aveva proposto all’altro, al Cavaliere che aveva detto sì. L’obbiettivo evidente era quello di colpire il suo avversario, quello che lo aveva sconfitto qualche mese fa in occasione delle primarie. Ho sempre pensato che l’intelligenza, la furbizia, l’acume del guascone, oltre alla conoscenza delle dinamiche interne del suo partito, avessero suggerito al rottamatore di competere… per perdere, ovvero che quella presunta gara rappresentasse solo un sorta di diversivo, un termometro ed un’occasione straordinaria per misurare il proprio consenso. E non solo all’interno del proprio partito.
 
Poi ha logorato il segretario, lentamente, senza strappi evidenti. Ha contribuito alla campagna elettorale senza mai demonizzare l’avversario che ha rappresentato per venti anni (e rappresenta ancora) l’ossessione della sinistra. Ha atteso il risultato finale che in cuor suo probabilmente sperava, il peggiore per Bersani: il paradosso che lo vede primo ma non vincitore, incaricato premier senza una chance di ottenere una maggioranza a meno che di rivolgersi al “nemico” di sempre. A fronte dei ripetuti errori del Pierluigi da Bettola, il toscano non è stato avido con i suggerimenti: più e più volte gli ha indicato la necessità di un dialogo con Berlusconi. Ma questa oramai è storia.
Oggi che fa Renzi? Indica Romano Prodi. Ma come, il rottamatore aperto al dialogo, che cerca voti anche nel centrodestra, che auspica la fine di un’epoca basata sul conflitto e non sul confronto indica proprio Prodi, ovvero l’uomo indicato da Berlusconi come la peggior iattura per l’Italia? L’ambizione è così forte da fargli commettere un errore così banale? Si, perché l’obiettivo reale di Renzi è quello di tornare al più presto al voto, ma è molto rischioso e non così scontato. Di certo, dall’altra parte, le simpatie che il monello toscano si era guadagnato sfumano parecchio. Al contrario, ottiene l’effetto sicuro che gli elettori delusi del Pdl, quelli che non hanno votato Berlusconi si ricompattino attorno al loro Leader che, pealtro, è in crescita di suo…
 
Mentre scrivo queste poche righe, il Pdl protesta nella piazza e non partecipa al voto. E’ un fatto grave, a mio avviso un pessimo, ennesimo messaggio negativo ad un Paese in grave sofferenza. Ho le sensazione che la strepitosa cavalcata promozionale di Matteo Renzi oggi abbia subito un duro stop, un primo grande errore che pagherà in termini di consenso. Di fatto, consegna il Partito Democratico agli umori di Grillo, abile stratega ma pericolosissimo politico. E l’unità del Paese? il desiderio di rinnovamento e di uscire dalle sterili vecchie logiche? Oggi non contano, c’è il congresso del partito democratico.

mercoledì 17 aprile 2013

Mozione "extra-Fare" per il Congresso di Fare per Fermare il Declino

Riteniamo che i congressi regionali (4-5 maggio) ed il congresso nazionale (11-12 maggio) di Fare rappresentino un momento importante per la realizzazione degli obbiettivi che ci siamo proposti in occasione dell'incontro di sabato 13 aprile a Bologna del gruppo #Aperitour,  (vedi l'editoriale dell'amico Massimo Brambilla http://www.formiche.net/2013/04/14/tempo-ripartire-uniti-appello-base-italia-futura/) .
Ecco il documento che esprime le posizioni condivise durante l'incontro con i primi firmatari.  
 
 
Documento di Bologna 13 aprile 2013
Mozione "extra-Fare" per il Congresso di Fare per Fermare il Declino (*)

Introduzione
La conseguenza più preoccupante del risultato elettorale del 24 e 25 febbraio 2013  è data dalla evidente emarginazione delle istanze di modernizzazione del Paese. I contenuti delle migliori piattaforme programmatiche proposte agli elettori negli ultimi dodici mesi (il manifesto "Fermare il declino", il programma di Matteo Renzi per le primarie del centrosinistra e l'agenda Monti) sono praticamente assenti nel dibattito pubblico, mentre nel PdL è ormai residuale la cultura liberale che pure ne aveva accompagnato gli esordi. I rappresentanti delle principali forze parlamentari appaiono oggi incapaci di offrire soluzioni concrete per un credibile percorso di contrasto del declino incipiente e di ripresa economica e sociale.
"Fare per Fermare il Declino" e "Scelta Civica con Monti per l'Italia" hanno - ognuno rispetto ai proprio obiettivi iniziali - perso le elezioni. Esistono ragioni contingenti e ragioni costitutive che spiegano il deludente risultato elettorale delle due formazioni, sulle quali è ormai poco utile addentrarsi. E' più opportuno concentrarsi sul dopo-elezioni e sulle prospettive future.

La visione di fondo: modernizzare l'ItaliaMolte delle patologie della democrazia italiana degli ultimi venti anni - dall'assenza di competizione interna ai partiti alla corruzione più o meno diffusa, dalla scarsa efficacia del processo decisionale all'esplosione della spesa pubblica regionale - sono la conseguenza di riforme istituzionali non fatte o pasticciate. Alla diffusa illegalità dei metodi di finanziamento e di funzionamento dei partiti della Prima Repubblica, non si è saputa opporre una disciplina della vita dei partiti che finalmente attuasse l'articolo 49 della Costituzione e li rendesse trasparenti, responsabili e contendibili.
La politica economica è stata altrettanto debole, vittima e insieme carnefice della diffidenza degli italiani per il cambiamento. Le inadeguatezze dell'impianto fiscale e burocratico, della giustizia civile, della politica infrastrutturale e del sistema del credito hanno contribuito a tenere l'Italia alla "periferia" della competizione globale e dei flussi d’investimento. Il funzionamento del mercato del lavoro, del welfare e del sistema d'istruzione scolastica ed universitaria, lungi dal contrastare le diseguaglianze, le ha alimentate: la Seconda Repubblica ha fallito nell'unica vera missione dello Stato contemporaneo, la valorizzazione continua del capitale umano. Ne sono prova i bassi tassi di occupazione (soprattutto femminile), la disoccupazione di lungo periodo, la natalità stentata, l'emigrazione di studenti e lavoratori qualificati, l'incapacità di attrarre talenti stranieri, la produttività zoppicante. Sventare il default del sistema formativo, o ridefinire il perimetro e le funzioni degli ammortizzatori sociali per orientarle ai nuovi veri bisogni sociali, è tanto cruciale quanto evitare la bancarotta delle finanze pubbliche, se non vogliamo che la crisi metta radici profonde, compromettendo persino la funzionalità degli ascensori sociali.
Non esistono ricette salvifiche per la crescita: è una partita che si gioca in buona parte oltre i confini nazionali (in tal senso, è fondamentale avere una prospettiva europea nella costruzione di un nuovo soggetto politico) e che, sul piano interno, sarà vinta se sapremo governare l'ordinario, più che lo straordinario. Ai tanti "decreti-sviluppo" che abbiamo conosciuto negli anni, poco più che interventi al margine, dovremo saper sostituire riforme sistemiche del core business dello Stato.
Occorre riabilitare le istituzioni, rafforzandone l'indipendenza dalle pressioni di caste e corporazioni private e pubbliche, e c'è da riabilitare l'economia di mercato e la cultura imprenditoriale, l'unico possibile motore di prosperità. Abbiamo bisogno, per dirla con Tim Morgan del Centre for Policy Studies, di "un capitalismo che serva tutti, non di una sua variabile corrotta che faccia gli interessi di una minoranza". Si tutelano gli interessi dei cittadini, e non dei potentati finanziari e clientelari, quando si è severi con chi abusa della fiducia dei consumatori, dei piccoli azionisti e dei risparmiatori, quando si tagliano miliardi di euro di sussidi a imprese private, pubbliche e parapubbliche per finanziare il taglio delle tasse a tutti, quando lo scopo delle regole è incoraggiare la concorrenza dei servizi e l'innovazione. Eliminare gli ostacoli per l'accesso al credito delle imprese neonate, le start-up, e permettere loro di godere di tecnologie e infrastrutture digitali avanzate è una battaglia di "equità".
Infine, c'è da restituire una valenza etica all'impegno politico. La politica riacquisterà dignità, e qualche giovane se ne innamorerà di nuovo, quando rifiuterà di essere mera gestione del potere e tornerà almeno in parte al suo scopo originale: colmare il vuoto tra i cittadini, fungere da luogo d'incontro della polis, essere l'arma con cui la società sfida l'umana paura per il nuovo, il diverso e l'estraneo.

Dopo il voto, l'opportunità sprecata da Scelta Civica
"Scelta Civica" sta sprecando il dopo-elezioni. Per la formazione guidata da Mario Monti, le settimane successive al 25 febbraio sono state caratterizzate da decisioni di metodo e di merito che hanno decretato un sostanziale allontanamento dalle prospettive che avevano animato la nascita del progetto (il quale, nonostante ambizioni di partenza più sfidanti, ha comunque raccolto circa tre milioni e mezzo di consensi). Affinché "Scelta Civica" potesse essere un pilastro intorno al quale costruire una forza politica autenticamente riformatrice, sarebbe servita l'inaugurazione di una fase costituente aperta e allargata. La debolezza parlamentare avrebbe potuto tradursi in una lucida sfida per il futuro, una dichiarazione di disponibilità ad essere un affluente per un nuovo e più grande fiume. C'è invece stata la cristallizzazione dello status quo, con la nomina senza meccanismi di trasparenza di organismi dirigenti, con la netta prevalenza nelle cariche di vertice dell'associazione e dei gruppi parlamentari di esponenti di estrazione cattolico-sociale (a scapito della cultura riformatrice, laica e liberale che aveva nell'associazione Italia Futura il suo baricentro), un approccio nella gestione delle prime settimane in Parlamento da forza politica "di sostegno" al PD e una preoccupante rivendicazione anti-bipolarista di alcuni dei principali esponenti.

Rivolgersi, legittimandolo, all'elettorato liberale finora "custodito" dal PdL
Una base da cui partire è il riconoscimento che lo spazio in cui trovano premio le idee di libertà e competizione è l'area politico-culturale alternativa alla sinistra, che in Italia ha caratteristiche di conservazione dello status quo. C'è da accettare l'evidenza che la competizione elettorale nelle grandi democrazie ha inevitabilmente natura binaria e che la riconoscibilità e l'attrattività di una forza politica è data dalla percezione che essa possa tradursi non in una mera testimonianza elettorale, ma in una concreta opzione di governo.
Con questa premessa, il progetto politico che intendiamo costruire dovrebbe rivolgere un'attenzione particolare anche a quella parte di Italia che in questi anni ha dato il proprio consenso a Silvio Berlusconi ed al PDL non per ingenuità o per incapacità di intravederne i limiti, ma perché ha ritenuto che nella cabina elettorale non si potesse rimanere equidistanti tra “meno tasse” e "anche i ricchi piangano”. Uno degli errori tanto di Fare quanto di Scelta Civica è stato quello di aver messo sullo stesso piano il politico Berlusconi - il cui fallimento è conclamato - e quel mondo di speranze, rivendicazioni ed aspettative che il "berlusconismo" ha suscitato in una parte importante dell’elettorato. E' necessario, di conseguenza, riconoscere le legittime ragioni di chi ha continuato a votare per il centro-destra e provare a fornire a queste persone una rappresentanza migliore, un modello di rappresentanza nuovo e più adulto, laico e liberale non solo a parole e distante da ogni populismo.

Anticipare Matteo Renzi, non seguirlo
Finchè Matteo Renzi sarà un esponente di questo Partito Democratico e del centro-sinistra, potrà essere considerato un interlocutore per il comune obiettivo della modernizzazione del Paese, delle istituzioni e del sistema politico, ma non potrà rappresentare una leadership per la nostra area politica, né un'opzione elettorale. Se invece il sindaco di Firenze decidesse di lasciare il PD, in favore di una aggregazione squisitamente liberal-democratica compatibile con le nostre posizioni di politica economica e la nostra alternatività alla sinistra, dovremmo certamente provare ad aprire con lui un tavolo di confronto. Ciò detto, la nostra nuova iniziativa politica non potrà giocare di rimessa rispetto alle scelte contingenti altrui: dobbiamo ambire ad essere un movimento che innova il sistema politico, non che segue le eventuali "rotture" altrui.

Un'opportunità per Fare per Fermare il Declino: essere una leva per un nuovo soggetto comune
Nonostante i comprensibili problemi di governance interna (palesati pubblicamente in modo forse eccessivo) a cui il congresso di maggio dovrebbe dare una prima necessaria risposta, oggi Fare per Fermare il Declino ha un'opportunità preziosa, che non va sprecata. L'opportunità è quella di rappresentare una possibile - non esclusiva, ma importante - infrastruttura per l'auspicabile processo di aggregazione di forze e personalità ancora in cerca di una casa politica in cui si parli il linguaggio dell'innovazione e del merito, della competizione e della responsabilità individuale.
Non mancano i rischi, che spesso frenano più d'uno dall'avvicinarsi a Fare: primo, che il movimento politico finisca per divorare sé stesso a causa delle incompatibilità personali tra alcuni suoi esponenti (nessuno vorrebbe assistere a scissioni post-congressuali, ad esempio); secondo, la tempistica degli eventi politici (al momento, una variabile indipendente), in primis la scelta di un posizionamento strategico, finisca per inficiare il consolidamento "interno". Sarà compito di quanti dal congresso verranno investiti di ruoli di rappresentanza e gestione saper evitare tali rischi.

Una strada da fare insieme: gli impegni da assumere
Per quanto esposto sopra, allo scopo di testimoniare l'importanza e l'urgenza di una nuova fase costituente per quello che nel corso del 2012 usavamo definire il "partito che non c'è", i firmatari di questo documento:
- invitano il prossimo presidente eletto di Fare e i prossimi membri eletti della Direzione Nazionale ad impegnarsi insieme ai sottoscritti nell'organizzazione entro i prossimi mesi una conferenza politico-programmatica aperta e plurale, con la quale porre le basi di un percorso di costruzione di una forza politica capace di rappresentare un'opzione elettorale credibile e "utile" per un vasto elettorato alternativo alla sinistra e ad ogni forma di qualunquismo e populismo;
- invitano i promotori e i simpatizzanti di altri movimenti di natura riformatrice, liberale e liberal-democratica ad esplicitare la loro adesione a tale processo di collaborazione e, in prospettiva, di unione;
- propongono la costituzione di un comitato promotore di un pacchetto di proposte di legge di iniziativa popolare e di referendum abrogativi, su temi economici (coerenti peraltro con le istanze e le proposte fondative di Italia Futura, di ZeroPositivo, di Outsider, del manifesto Fermare il Declino e di molti altri movimenti di stampo riformatore) e su temi istituzionali (tra cui la riforma della legge elettorale, la democrazia interna ai partiti, il sistema presidenziale e il superamento del bicameralismo perfetto), con cui offrire agli italiani un reale strumento di partecipazione politica e affermare nel dibattito pubblico dei prossimi mesi l'importanza di alcune cruciali riforme sistemiche;
- supporteranno i candidati al congresso di Fare che dichiareranno la loro adesioni alle tesi della presente mozione.

Prime firme
Piercamillo Falasca, Marco Faraci, Romano Perissinotto, Luca Bolognini, Massimo Brambilla, Fabio Callegari, Lorenzo Manfro, Umberto Villa, Federico Brusadelli, Enzo Raisi, Luca Argentin, Maurizio Grilli, Alfredo Bardozzetti, Marco Mitrugno, Lorenzo Giammarchi, Simone Paoli, Antonio Grizzuti, Fabrizio Gherardi  
(*)



Ricordo che per poter votare ai congressi occorre aderire a Fare entro il 28 aprile p.v. Informazioni sul sito www.fermareildeclino.it

 
 

lunedì 15 aprile 2013

Berlusconi al Colle, Renzi al governo. Ecco la mia soluzione anti-impasse


15 - 04 - 2013  Romano Perissinotto

publicato su www.formiche.net

Berlusconi al Colle, Renzi al governo. Ecco la mia soluzione anti-impasse

Caro direttore,
chiunque sia avvezzo ai palazzi della politica conosce bene le principali regole della professione parlamentare: mai dare nulla di scontato, mai chiudersi tutte le porte e valutare bene le diverse opzioni disponibili. Per la verità, in molti parlamentari vige anche un’altra regola spesso tradotta in triste consuetudine: salvarsi la pelle, dove per pelle si legga lo scranno.
All’apparenza, da questa premessa esce una fotografia piuttosto squallida dell’attività che definiamo “politica”, quella che poi determina giudizi negativi spesso affrettati e sommari, in particolare da neo disfattisti senza costrutto. Non di meno, occorre ricordare che i partiti politici altro non sono che associazioni tra persone accomunate da una medesima finalità, ovvero da una comune visione su questioni fondamentali della gestione dello Stato e l’espressione di ideali ed interessi per l’appunto “di parte”. Troppo spesso, il tentativo di imporre la propria visione, conservare e/o tutelare le proprie posizioni ha trasformato quella che dovrebbe essere una sana, costruttiva e, perché no, anche aspra e dura dialettica di confronto in un guerra di trincea dove l’antagonista di turno non è più visto come un avversario, bensì un nemico possibilmente da eliminare.
Senza scendere nella stucchevole questione delle responsabilità di una o dell’altra parte protagoniste del periodo storico che è identificato come Seconda Repubblica, sarebbe ipocrita negarne la sua principale, ahimè, caratteristica: ovvero la figura di Silvio Berlusconi e l’atteggiamento della sinistra italiana più preoccupata, in questi ultimi venti anni, nel tentativo di eliminarlo che a proporre una propria credibile visione alternativa.
 
Quindi, data la paralisi istituzionale (peraltro prevista …) in cui ci troviamo dopo le elezioni che fare? La realtà ci dice che tra saggi, grillini, tatticismi da tutte parti, legge elettorale e numeri insufficienti sarebbe il caso di recuperare un sano pragmatismo che necessita però di trascendere il passato, superare i pregiudizi e .. mettere finalmente il Parlamento ed il Governo nelle condizioni di lavorare. Il Paese è in una straordinaria condizione di emergenza. Nessun confronto è possibile con il passato: troppi dei nuovi eletti ancora guardano al passato, vomitandosi addosso accuse reciproche o assumendo posizioni dorotee ininfluenti, parlando genericamente di riforme avendo numeri da farmacista, penalizzando così la costruzione del futuro.
 
Tiriamo una riga, definitiva. Ed ecco che la soluzione potrebbe essere quella di un Cavaliere al Colle, che da una parte chiuda per sempre sterili questioni e dall’altra costringa il suo partito ad individuare un nuovo leader. Nel contempo, la contropartita politica potrebbe essere l’affidare il governo del Paese ad un toscano, a quel Matteo Renzi che, seppur ancora ingabbiato, ha dimostrato di saper ragionare in modo propositivo ed andare oltre ai vecchi schemi ed antichi steccati ideologici, capace proprio per questo motivo di ottenere consenso in maniera trasversale.
 
Rivalutare il significato positivo della parola “compromesso” sarebbe quanto mai utile, anzi necessario in questo momento per superare una paralisi che altrimenti non porta a nulla che non siano chiacchere, azioni infeconde e probabilmente ancora a perdite di tempo che non ci possiamo permettere. . Anche se, mi rendo conto, molti moralisti radical chic storceranno il naso schiavi dei loro pregiudizi, con gli occhi puntati sul passato e miopi sul futuro … occorre farlo, nonostante loro! Si sa, ci vuole coraggio: la forza di andare oltre.

venerdì 12 aprile 2013

Caro Renzi, sarai un vero leader solo se uscirai dal Pd


12 - 04 - 2013 Romano Perissinotto

pubblicato su www.formiche.net

E' bene aver sempre chiaro che il consenso, per tradurlo in successo, deve essere colto al suo apice, prima che possa essere minato da un altro fattore, quello riconducibile al carattere estremamente volubile di noi italiani che, è noto, da sempre osanniamo e critichiamo i nostri campioni con terribile passione
 
  
Data l’età, certamente Matteo Renzi ha il tempo dalla sua parte. Allo stesso modo, dopo la sconfitta alle primarie, ha dimostrato coraggio, coerenza e molto acume politico nel mantenere la promessa fatta di “non andarsene con il pallone”, continuando però a stuzzicare il suo partito con dichiarazioni, interviste ed apparizioni televisive.
A proposito di mezzo televisivo, bene ha fatto ad intervenire alla trasmissione Amici di Maria del Filippi, ben consapevole che avrebbe sollevato un’ondata di critiche radical chic del suo partito che considera quella parte di italiani che guarda quel genere di programmi come una sottocategoria di cittadini non meritevoli di far parte del suo bacino elettorale. E poi perdono le elezioni…
Non c’è dubbio che il guascone toscano attiri simpatie anche nello schieramento antagonista e quelle del suo leader, Silvio Berlusconi che, al contrario di Renzi, ha nella sua età il limite naturale della propria futura leadership. Entrambi sono convinti sostenitori di un sistema democratico bipolare, sul modello delle democrazie anglosassoni. Curioso anche che i due citino spesso Tony Blair e che il leader inglese abbia più volte ribadito non solo l’ amicizia con il Cavaliere, ma anche la sua stima personale per il politico Berlusconi.
Inutile negare che Renzi e Berlusconi si assomiglino molto. Entrambi giocano con la loro indubbia empatia, naturalmente espressa con capacità comunicativa che trascende il contenuto politico dei rispettivi messaggi e delle loro idee. Sanno raccontare la loro storia, vivono per certi versi in simbiosi con l’umore della gente sapendone cogliere i desideri e le aspettative. In sintesi, entrambi sanno ottenere consenso, indispensabile soprattutto quando si tratta di portare idee e programmi là dove questi possono essere realizzati, ovvero in Parlamento, nelle Istituzioni. Mi pare di dire una banalità e per alcuni intellettuali da salotto suonerà come una affermazione blasfema, ma è la principale dote che deve possedere un leader politico. Altrimenti si è solo un tecnico burocrate, indifferente se più o meno capace: senza quell’anima indispensabile… poi i risultati si vedono nell’urna.
Tuttavia, trai due grandi attuali comunicatori, c’è anche una grande differenza. Venti anni fa, Berlusconi ha avuto il coraggio e la determinazione di scendere in campo, dopo aver tentato inutilmente di convincere i moderati liberali sopravissuti a Tangentopoli a far fronte comune a una sinistra che si accingeva gioiosamente a prendere la guida del Paese. Ha fondato un partito e li ha battuti. E dopo tutti questi anni, nonostante tutto e tutti, ancora gode del favore di almeno un terzo degli italiani.
Renzi dichiara che non ha nessuna intenzione di uscire dal Pd, di voler proseguire la sua battaglia politica di rinnovamento all’interno del partito. Lungi dal sottoscritto voler dare un suggerimento dicendogli di riconsiderare (diffido sempre da chi dispensa consigli non richiesti), ma credo sia lecito porsi la domanda se il Matteo abbia ben valutato la situazione, ovvero l’apparato granito di partito che regge il suo campo di battaglia e, soprattutto, pesato bene gli azionisti di maggioranza, nonché i vecchi e nuovi burocrati statalisti di cui è colmo il Partito Democratico.
 
Il fattore tempo, dicevamo, gioca a favore del Matteo. Attenzione però a non parametrare l’azione su di un arco temporale troppo lungo che rischia di renderla ininfluente rispetto alle esigenze del Paese, dato che è presumibile un ritorno al voto a breve.
Infine, caro Matteo, è bene aver sempre chiaro che il consenso, per tradurlo in successo, deve essere colto al suo apice, prima che possa essere minato da un altro fattore, quello riconducibile al carattere estremamente volubile di noi italiani che, è noto, da sempre osanniamo e critichiamo i nostri campioni con terribile passione.

venerdì 5 aprile 2013

Perché Renzi deve restare nel Pd


05 - 04 - 2013 di Federico Punzi

pubblicato su www.formiche.net
Perché Renzi deve restare nel Pd



Caro direttore,
la provocazione di Romano Perissinotto – che nella sua lettera di ieri suggerisce a Matteo Renzi di rompere gli indugi e fare “quel saltino” verso lidi berlusconiani, o verso una “Italia Futura” che nel frattempo sappia tornare alle origini, quella che era prima di “annichilirsi” nel progetto montiano – coglie nel segno, evidenziando contraddizioni e ritardi sia della sinistra che della destra.
E’ vero che le idee, ma direi anche il linguaggio, e persino postura e sorrisi del sindaco di Firenze, sembrano stonati in un partito come il Pd, ancora ostaggio dell’ossessione antiberlusconiana e appesantito dalla tara statalista, dove l’“apparatchik” ha ancora il suo peso, e quindi che in questo senso possa sembrare “l’uomo giusto nel posto sbagliato”. Ma ciò a mio avviso non rende né più probabile né, a ben vedere, auspicabile, il suo “saltino”. Credo che Renzi debba combattere fino in fondo la sua battaglia “blairiana” nel Pd e che il centrodestra debba trovare il suo di Renzi. Dovrebbe essere questo l’ordine normale e non scandaloso delle cose, anche se ammetto che la nostra politica è tutto fuorché “normale”.
Innanzitutto, per una banale questione di credibilità personale. La politica italiana è già piena di personaggi che saltano da un partito all’altro, qualche volta per buoni motivi ma più spesso per convenienza, anzi per frustrazioni e piccole miserie personali. Non si vedono riconosciuta dal loro partito la leadership, o la poltrona, che ritengono di meritare, e allora cambiano casacca o se ne vanno e fondano il loro partitino. E di solito il “salto” non porta molta fortuna, gli elettori tendono a diffidare.
Ma anche perché in un certo senso Renzi è proprio l’uomo giusto nel posto giusto: il riformatore nel partito che ha urgente bisogno di essere riformato – nei contenuti, nello stile politico e nella classe dirigente. Così come dev’essere sembrato un marziano Tony Blair nel Labour dei primi anni ‘90, sarà stato accusato di cripto-thatcherismo, ma era esattamente l’uomo giusto al posto giusto.
Che Renzi riesca con il Pd laddove Blair è riuscito con il Labour è tutt’altro che scontato. Anzi, sono molto meno certo di quanto si tenda comunemente ad essere che sia predestinato a vincere trionfalmente le prossime primarie, o il prossimo congresso del Pd. Che sarà proprio lui il futuro leader del centrosinistra ci crederò solo quando lo vedrò con i miei occhi.
Ma è una battaglia che deve combattere nel Pd, almeno se riteniamo auspicabile avere, prima o poi anche in Italia, un sistema politico maturo, in cui i due principali partiti, uno di centrodestra e uno di centrosinistra, vincono, perdono, invecchiano, ma sono riformabili e contendibili. Non possiamo andare avanti con questa maionese impazzita che per rigenerarsi ha continuamente bisogno di veder sorgere come funghi mini-partiti personali, progetti terzisti (o quartisti), tsunami e rivoluzioni più o meno incivili.
Né dovrebbe essere Renzi a sopperire al vuoto di leadership che si annuncia nel centrodestra con il crepuscolo della leadership berlusconiana. E’ auspicabile che anche in questa parte dello schieramento politico il rinnovamento trovi le sue forme, i suoi contenuti e i suoi protagonisti. Comprensibile che Renzi susciti interesse e simpatia in un panorama così avido di novità, ma non bisogna commettere lo stesso errore di chi addirittura lo voleva a capo di un movimento liberista. Dovremmo forse rassegnarci all’idea che il centrodestra del futuro altro non possa essere che una sinistra in versione “renziana”, solo più moderata e “labour” del Pd?

Caro Renzi, è giunta l’ora di rilanciare Forza Italia (Futura)


04 - 04 - 2013 Romano Perissinotto

pubblicato su www.formiche.net
Caro Renzi, è giunta l'ora di rilanciare Forza Italia (Futura)


Caro direttore,
 
erano i tempi delle primarie del Partito democratico. Un monello toscano osava sfidare l’apparato granitico, della vecchia nomenclatura, aprendo un casus bellico direi senza precedenti. Come è andata a finire lo sappiamo.
Allora, leggendo il programma politico di Renzi, mi chiedevo cosa ci facesse in quel partito, ovvero come quelle idee avrebbero potuto funzionare nel contesto di un centrosinistra ancorato sulle istanze stataliste dei suoi maggiori esponenti e azionisti, peraltro ostinatamente fermi sull’ossessione ventennale derivante dalla figura di un certo Cavaliere di Arcore.
Arrivai così alla conclusione che il guascone toscano fosse l’uomo giusto nel posto sbagliato, indicando la sua collocazione naturale in quell’area terzista che Italia Futura allora stava creando: un polo popolare e riformista, con una forte cultura liberale proveniente sia dalla vecchia sinistra che dalla destra. Vennero poi decise soluzioni alternative, sbagliate a mio avviso, da parte dei vertici romani dell’associazione. Ed anche in questo caso, i risultati li conosciamo, ma è un’altra faccenda.
Quindi, a febbraio ci sono state le elezioni e, come previsto, il responso ha determinato una sorte di paralisi istituzionale e le alchimie fantasiose da parte di un Presidente della Repubblica sfiancato dalle beghe da pollaio dei partiti, essendo peraltro limitato nelle sue azioni perchè in scadenza di mandato.
In questa sorte di purgatorio, intollerabile per il Paese, di fatto abbiamo capito due cose: la prima è l’importanza della figura di un leader che sappia parlare la cuore ed alla pancia della gente: Berlusconi è in questo un maestro. La seconda è che se la politica non esce da vecchi schemi, pregiudizi ed antichi steccati, il destino del Paese non sarà il declino, ma il disastro.
Ed ecco che in questo cul de sac istituzionale ricompare il Matteo, con annunci ed interviste, a riproporre le sue idee. Curioso, se volessimo analizzarle prescindendo dagli stereotipi, ci accorgeremmo immediatamente di come sono essenzialmente più affini a quelle del partito del Cavaliere e delle istanze originarie dell’associazione di Montezemolo. Infatti, precisa Renzi, il suo obiettivo è quello di accompagnarlo a godersi altri interessi, peraltro come dallo stesso Berlusconi più volte auspicato, senza scendere nei meschini quanto sterili tentativi di eliminarlo per via giudiziaria. Intelligente come è, Renzi ha capito l’inutilità di tale progetto. Allo stesso modo, nei giudizi espressi nei confronti del progetto politico di Monti dove si è annichilito il progetto di Italia Futura, non è stato tenero, giustamente a mio avviso.
Quindi, forza Renzi, fai quel “saltino” e muoviti. L’auspicio, mio personalissimo, è che il guascone toscano, da vero pioniere, possa dialogare con il diavolo brianzolo (che poi tanto diavolo non è se non nel cuore milanista), e con quella parte di Italia Futura evidentemente delusa dal movimento montiano.
Sia infine libero da vecchie ossessioni, valuti bene, ed in tempi brevi, come realizzare le sue idee ed i suoi programmi che in definitiva, a ben guardare, erano già stati presentati venti anni fa in un manifesto chiamato Forza Italia. Quale migliore augurio per il nostro Paese?