lunedì 2 aprile 2012

Il lato "B" del compromesso storico


Negli anni 70 un uomo austero e dal carattere apparentemente malinconico, il segretario di un partito che allora aveva chiarezza nel nome e nel simbolo - Partito Comunista Italiano - fu protagonista di un tentativo di superare la crisi profonda che aveva colpito la società italiana. Quell’uomo si chiamava Enrico Berlinguer e capì che in quella fase storica, il partito che guidava avrebbe dovuto farsi promotore di una serie di profonde riforme sociali per ottenere il consenso della grande maggioranza della popolazione. Per far questo era necessario il coinvolgimento non solo della cosiddetta classe operaia, ma anche di quegli strati sociali intermedi che vedevano la DC come proprio referente politico.   Pur essendo lontano anni luce dai suoi ideali e principi politici, credo debba essere riconosciuto a Berlinguer il merito di aver educato  milioni di italiani a concepire la politica come passione civile, come rigore etico, come bisogno di coerenza e anche come necessità di superare le barriere ideologiche per il bene del Paese.  Si aprì così quella fase storica della politica italiana che va sotto il nome di compromesso storico con l’altro partito (oggi diremmo schieramento), la DC. Il principale interlocutore della politica del dialogo con i comunisti fu Aldo Moro. Per il leader democristiano non si trattò di un’operazione facile, dovendo ingegnarsi tra la forte ostilità interna al suo partito (e le pressioni statunitensi) , che fino all’ultimo espressero la propria contrarietà al compromesso storico. Ma anche Moro era convinto che la classe politica doveva porre le basi per una rinascita economica e morale del paese. Il 28 febbraio 1978 il presidente DC, con un vibrante discorso, convinse il suo partito della necessità di collaborare con i comunisti. Il rapimento e l’uccisione di Moro segnarono la fine del difficilissimo tentativo di “solidarietà nazionale”. Pochi anni dopo, anche il segretario del PCI scomparve tragicamente, colpito da un ictus durante un comizio in Piazza della Frutta, a Padova. Era l’11 giugno 1984.

A distanza di quasi trenta anni, cosa è successo? Di tutto e di più! A ricordarci che ancora oggi, di fatto, vige un nuovo modello perverso e per niente nobile  di  “compromesso storico” è un interessante libro scritto a quattro mani da due giornalisti, Claudio Gatti e Ferruccio Sansa, dal titolo emblematico: “Il sottobosco: berlusconiani, dalemiani e centristi uniti nel nome degli affari”. Gli autori ci descrivono un quadro avvilente fatto da immagini di facciata, ovvero l’apparente acceso scontro politico tra i due schieramenti nelle sedi istituzionali e nei mass media, ed uno di sostanza: la concertazione nel dividersi i grandi affari. In sintesi: ci picchiamo in pubblico, ma ci vogliamo bene in privato!

Non desidero entrare nelle questioni etiche e giuridiche di questo “cartello” degli schieramenti politici, ma semplicemente sottolineare la peggiore delle conseguenze di questo atteggiamento : porta inevitabilmente ad uccidere la meritocrazia. Non solo ai vertici, ma falsando le regole si crea quello che gli autori definiscono nel titolo, un sottobosco fatto di relazioni che distorcono le attività economiche delle imprese, manovrando gli appalti, intervenendo arbitrariamente nei settori strategici del Paese, come l’energia e la sanità. Un marciume dilagante, una sostanziale inadeguatezza ad affrontare con serietà, dignità e coraggio l’enorme sfida alla quale è chiamato il Paese. E’ il più grave peccato che si possa commettere quando si ha la responsabilità di guidare un Paese: perdere il senso della meritocrazia e del bene generale in nome di meschini interessi di parte.  I vari casi di corruzione (con i costi che comporta) e la perdita del senso di responsabilità della funzione di chi è “eletto” (vedi Calearo)  trovano le loro origini in questo stato di fatto che poi influisce pesantemente nella vita reale del Paese, impoverendolo ed umiliandolo. Dobbiamo aver ben presente questo senso del merito quando saremo chiamati ad esprimerci con il voto, consapevoli che la prossima sarà l’ultima “uscita di sicurezza” da un sistema malato.

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