lunedì 9 settembre 2013

La favola di un ricco Cavaliere


08 - 09 - 2013Romano Perissinotto

pubblicato su formiche.net
La favola di un ricco Cavaliere
Nell’ anno del Signore 2492 / 350° dopo la 1^ Grande Glaciazione, un vecchio racconta ai bambini radunati attorno a lui che in silenzio lo ascoltano curiosi ed attenti, quella che fu la storia di un antico Cavaliere…
C’era una volta, tanto tempo fa, in un paese lontano al di là del mare, un ricco Cavaliere che viveva in un grande castello di campagna, circondato da un immenso parco con alberi secolari e arbusti di rara bellezza. Il Cavaliere amava passeggiare tra i giardini del parco, conosceva il nome di ogni singola pianta e fiore ed era felice, ogni volta che ne aveva occasione, di intrattenere i suoi ospiti raccontandone i pregi e virtù.
La gente del suo paese, abituata da sempre a lavorare e produrre, viveva tranquilla e all’apparenza prosperosa. Tutti ammiravano il Cavaliere e gli erano grati per aver ricevuto, in dono da lui, il divertimento gratuito di nuovi spettacoli ai quali potevano assistere, innovativi rispetto a quelli cui erano abituati, grazie ad un apparecchio allora presente in tutte le case chiamato televisione.
C’era poi, a quei tempi, uno sport tanto diffuso quanto bizzarro che vedeva ventidue giocatori in mutande prendere a calci una palla nel tentativo di metterla nella porta dell’avversario. Lo chiamavano gioco del calcio ed ancora oggi se ne possono leggere le vicende nei racconti degli scrittori di allora, chiamati giornalisti. Uno di questi, a noi noto come Brera, dicono fosse il più bravo di tutti. In un suo racconto narra che la passione che i maschi di quel paese nutrivano per il calcio era dovuta all’influenza che aveva nella loro sfera sessuale. A differenza di oggi, molti secoli fa il mondo era chiaramente diviso tra genere maschile e femminile: mettere quello strano pallone nella porta dell’avversario era come violare la vagina della femmina altrui e la tal cosa dava loro tanto piacere. Pensate, un bel giorno il Cavaliere decise di regalare a molti di loro un’intera squadra per quel gioco, spese tantissimi soldi (ma ne aveva tanti) rivoluzionando le abitudini di allora e mise insieme i migliori atleti. In poco tempo vinse tutto e diventò sempre più famoso ed amato dalla gente.
Sembravano anni felici per il popolo di quel paese lontano: anni da bere come recitava una pubblicità di allora. La gente non si preoccupava del futuro, intenta com’era a ballare durante la notte nelle discoteche ed impegnata in ogni genere di stravaganza: dai vestiti che allora chiamavano moda, allo stile d’arredo delle loro case che era denominato design, all’abitudine diffusa di mangiare due chicchi di riso ed un fungo che definivano nouvelle cuisine. Stravaganze che, per fortuna, nel nostro paese non sono mai accadute.
Un giorno, all’improvviso, uomini vestiti con abiti di colore nero pensarono che era giunto il momento opportuno per cambiare chi allora governava quel Paese. Utilizzando l’immenso potere di cui disponevano, riuscirono infine nella loro azione: in poco tempo i governanti che erano stati prima scelti dal popolo venivano abbattuti e sconfitti, alcuni rinchiusi nelle prigioni, altri costretti a fuggire. Molti si rassegnarono e passarono poi tra le fila di coloro che bramavano e smaniavano di prenderne il posto. Grazie all’iniziativa degli uomini in nero, questi individui che, messi insieme, venivano chiamati sinistra, si accingevano allegramente a regnare sul quel paese.
Ma commisero un errore. Non avevano considerato il Cavaliere, al quale non erano tanto simpatici questi giustizialisti sinistroidi presunti rivoluzionari, tanto meno gli piaceva ciò che professavano come modello di vita e, per questo motivo, era da loro malvisto e più volte in passato osteggiato.
Fu così che decise di radunare le sue forze, cambiare le sue abitudini, utilizzare le sue enormi ricchezze per prepararsi alla battaglia ed infine comunicò al popolo la sua decisione attraverso la televisione che aveva loro donato e che sapeva usare molto bene, meglio di chiunque altro. Scese nel campo di battaglia, lottò come un leone e sconfisse gli uomini di sinistra, addirittura riuscì a mortificarli, lasciandoli increduli per gli anni che seguirono, sempre confusi ed intenti solo a domandarsi il perché e come tutto ciò era potuto accadere.
Passarono alcuni lustri, il Cavaliere governò quel paese con alterne fortune ed alcune sventure. Diventato oramai un anziano e sempre ricco signore, proprio mentre stava meditando di ritirarsi a vita privata per godersi serenamente le sue antiche passioni ed una giovane compagna, fu colpito a sua volta dagli uomini in nero che, durante tutti quegli anni, non si erano mai scordati di lui, anzi osservavano ogni sua azione con un’attenzione particolare che mai in precedenza era stata rivolta a chiunque altro, nemmeno ai vecchi governanti tanti anni prima. E fu così condannato all’oblio ed al martirio, tra l’esultanza dei giacobini di sinistra che finalmente vedevano avvicinarsi l’opportunità di riscattare l’oltraggio ed il disonore patiti per tanto tempo e la possibilità di conquistare il potere, sebbene avessero fatto poco o nulla per meritarsi il regalo ricevuto.
A questo punto, essendo andati perduti gli antichi documenti dopo l’ultima glaciazione, i racconti tramandati nei secoli dai mercanti di spezie ci consegnano la parte finale della storia del Cavaliere avvolta da un’alea di mistero e si tinge così di leggenda. Alcuni lo descrivono per anni ancora fiero e combattivo, altri rassegnato in un esilio dorato nel parco del suo castello, distante dalla vita pubblica e dimenticato da tutti. Altri ancora raccontano di un documento ritrovato in un paese vicino che era stato prima trascurato dagli uomini in nero e che, per le leggi allora in vigore, avrebbe riaperto il processo, cambiato la sentenza di condanna e ridato ancora più lustro e consenso popolare al Cavaliere per gli anni che gli restarono da vivere, per poi eleggere principessa la sua erede primogenita che di nome, dicono, facesse Marina o qualcosa di simile.
Il vecchio conclude quindi la sua narrazione, lasciando però i bambini ancora incuriositi e speranzosi di conoscere quale sia la fine vera del Cavaliere. Uno di loro, il più intraprendente, si alza e chiede al vecchio quale, tra le tre, ritenga essere la più veritiera tra le possibili soluzioni e chi tra i protagonisti goda della sua simpatia: il Cavaliere, gli uomini in nero o quelli di sinistra?
Allora il vecchio sorride ed inarcando le spalle risponde “Che importanza ha conoscere la mia opinione o le miei simpatie? Rifletti su ciò che conosci della storia e prova da solo a trovare la risposta che cerchi. Probabilmente, in questo caso non ci riuscirai, ma quantomeno arriverai a quella che preferisci e ti convincerai che è quella vera, scordandoti poi le altre. In fondo, la verità non è mai assoluta, nemmeno nell’epoca in cui le storie narrate avvengono perché sono comunque trascritte o raccontate da altri che a loro volta le interpretano, a volte in buona fede a volte no. Figuriamoci oggi a distanza di molti secoli. Ed ora andate a giocare e fatelo bene perché il gioco è cosa seria”
Ma il bambino è caparbio e insiste: “Lo farò, ma dimmi cosa come pensi andarono a finire il Cavaliere e gli altri”
Ed il vecchio: “Quel che mi chiedo è che destino avrà poi avuto il popolo di quel Paese. La risposta è la sola verità che mi piacerebbe conoscere e la sola domanda che avrei voluto sentire da te”

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