Trovo sul divano un libro di mia figlia, matricola
universitaria, e mi ritrovo a leggere di un filosofo nato nel 1724 in Germania,
Immanuel Kant, uno dei massimi esponenti dell’Illuminismo, ovvero di quel
movimento di pensiero che vede rimettere l’uomo nella possibilità di superare ogni
sua incapacità avvalendosi del proprio intelletto, del ragionamento critico.
Il pensiero proprio di Kant è il criticismo, in quanto
fa della critica, intesa come individuale capacità di giudizio, lo strumento per eccellenza della filosofia.
La critica è quindi l’atteggiamento filosofico che consiste nell’interrogarsi sul
fondamento di determinate esperienze umane, per chiarirne la possibilità e
soprattutto la validità nel contesto presente e futuro.
Il criticismo si configura come una filosofia del limite, stabilisce cioè il carattere finito o condizionato dell’esperienza
Il criticismo si configura come una filosofia del limite, stabilisce cioè il carattere finito o condizionato dell’esperienza
Kant
applica questo metodo per definire il concetto di storia dell’umanità, passando
poi alla definizione di civiltà come
uno sforzo verso una società umana universale. Qui riconosce le condizioni
della pace nella costituzione repubblicana dei singoli Stati, nella federazione
degli Stati tra loro e nel diritto cosmopolitico, cioè il diritto di uno
straniero a non essere trattato da nemico nel territorio di un altro stato. Ma
soprattutto, ed è questo l'insegnamento principale, vede la massima garanzia della pace nel rispetto da parte dei
governanti nell’accordo tra politica e morale, secondo la
massima: l’onestà è migliore di ogni politica.
Concetto espresso secoli fa, spesso purtroppo
dimenticato da chi ha l’onore e l’onere di governare le Nazioni: sarebbe il
caso di (ri)leggerlo…
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