Una delle più ricorrenti ragioni
per le quali tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni non
sono riusciti a realizzare una riforma fiscale che portasse ad una seppur
minima diminuzione delle aliquote, che sappiamo essere tra le più alte in Europa, è l’enorme debito pubblico del Paese, ovvero gli interessi che ogni anno siamo costretti a pagare e che incidono
pesantemente sul conto economico del Paese. Un’altra ragione è l’elevata evasione fiscale –
sarebbe più opportuno a mio avviso parlare di elusione fiscale – con la quale
vengono sottratte alle casse dell’erario importanti risorse che,
conseguentemente, obbligano ad incidere in maniera più pesante su coloro che le
tasse le pagano. E’ un argomento, quello dell’evasione e dell’elusione su cui
torneremo prossimamente.
Il debito pubblico elevato obbliga
quindi gli amministratori dello Stato a mantenere un’elevata pressione fiscale,
non liberando così risorse da destinare alle infrastrutture, alla sanità, ai
servizi. Ed il rischio è che
Il circuito perverso che si e’ creato tra servizi scadenti, evasione
fiscale, aliquote e tassazione occulta rischia di disgregare le basi stesse
della nostra democrazia e della pace
sociale.
I cittadini
sono oramai così abituati a sentire il ritornello debito alto = causa mancata
riduzione delle tasse che sfiniti ed impotenti, rassegnandosi, hanno
finito con il crederci. Ma è davvero così? Oppure è una grande cortina fumogena
(menzogna) per mascherare
incapacità, inefficienza e sprechi?
Vediamo alcuni
numeri con un semplice paragone che è stato oggetto di un interessante confronto con le tesi
sostenute da Giuseppe Bortolussi (che
condivido) nel corso del weekend in occasione di un Convegno. Non consideriamo
ovviamente il capitale, ovvero il valore assoluto del debito: quello viene
restituito negli anni ed è sostenuto da
altre emissioni di titoli. L’ammontare degli
interessi che lo Stato Italiano (i cittadini) deve pagare ogni anno e deve quindi inserire
nella legge finanziaria, in valore assoluto è oggi pari a ca.
70 Mld/€. Esagerando, dati i recenti alti tassi dovuti (?) alla scarsa
fiducia degli Investitori, poniamo siano
pure 80: ma si, non badiamo a spese. Ora, espressi in percentuale sul Pil italiano, questi valori incidono
attorno al 2,5%. Immaginiamo ora
questi numeri riferiti ad una Azienda privata, meglio ancora ad un nucleo
famigliare. Per facilità di calcolo, supponiamo che il reddito a disposizione
(il pil) di questa ipotetica e felice
famiglia sia di 100.000 €/anno. (..bel
reddito, ma ricordiamoci che la nostra economia è pur sempre la seconda in
Europa). Ebbene, questa (fortunata)
famiglia si ritrova così a pagare 2.500
€ di interessi a fronte dei propri debiti. Ma la cosa non impedisce al “buon
padre di famiglia” di soddisfare i bisogni primari del proprio nucleo, di
mandare i figli a scuola, di comprare qualche libro e, perché no, qualche
ulteriore spesa accessoria, ristorante, cinema, una vacanza ….
In conclusione,
l’incidenza degli interessi dovuti al debito è irrilevante rispetto al totale
delle entrate, pertanto la risposta alla domanda posta è che i motivi per i quali non si è riuscito ad
intervenire sono altri e, direi… di tutta evidenza!
Siamo quindi
fronte ad una colossale menzogna, ovvero la ricerca di una facile giustificazione
proferita da parte dei vari governi negli anni, ad una sostanziale incapacità di
gestire i conti pubblici con la diligenza del “buon padre di famiglia”, al
contrario caratterizzata da sprechi delle risorse disponibili e da malaffari di
diversa natura, corruzione nella pubblica amministrazione ed indebiti
arricchimenti personali a danno della collettività. Mi approprio delle parole
in varie occasioni pronunciate a gran voce dall’amico Oscar Giannino: “Stato ladro”. E’ così. Il debito pubblico? Un’altra faccenda…
Giuseppe Bortolussi negli ultimi anni si è distinto per le significative denunce contro l’aumento della tassazione a livello locale, le disfunzioni legate all’inefficienza della pubblica amministrazione e un duro contrasto ai nuovi studi di settore.
RispondiEliminaAttualmente è direttore sia dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre sia delle due riviste quadrimestrali “Veneto Economia & Societ” e “Quaderni di ricerca sull’artigianato”.