di Alessandro Campi, Francesco Clementi, Carlo Fusaro, Giovanni Guzzetta, Ida Nicotra, Andrea Romano, Giulio Salerno, Sofia Ventura , pubblicato il 10 giugno 2012
Oggi guardare l'Italia è un dolore: non riusciamo a credere che un paese così carico di storia e pieno di energie sia mortificato nel suo orgoglio, sfigurato nelle sue speranze, rassegnato al suo destino. In queste ore nelle quali la crisi mondiale scuote le basi politiche ed economiche dell'Europa, il nostro paese si trova esposto a una situazione ancora più drammatica.
La voragine del debito ereditato dalla Prima Repubblica e l'assenza di quelle radicali riforme di struttura che negli ultimi venti anni avrebbero potuto determinare una svolta virtuosa ci consegnano un sistema politico che è un cumulo di macerie. Le convulsioni in cui esso si dibatte mostrano ogni giorno la sua difficoltà a reagire se non con espedienti tanto occasionali quanto visibilmente tardivi e inadeguati.
La protesta si esprime ormai palesemente in tutte le forme che riesce a trovare: nell'astensione e nel voto rivolto ai movimenti più radicali. Essa ha certamente le sue buone ragioni e non si esprime necessariamente solo nelle forme di una carica distruttiva, però è insufficiente. Allude spesso a soluzioni palingenetiche e semplificate, che non sono purtroppo credibili in un paese i cui mali vengono da così lontano.
L'indignazione dunque non basta, come non basta l'astensione, la rassegnazione o la rabbia. Questo non significa che non ci sia nulla da fare. Noi siamo convinti che l'Italia non sia figlia di un dio minore, che i suoi problemi non derivino da una condanna della storia o del destino.
Noi siamo convinti che i problemi dell'Italia affondino le proprie radici nella presenza di istituzioni fatiscenti e ormai inadeguate a sostenere le necessità di una grande democrazia.
Siamo convinti che i problemi dell'Italia dipendano dall'assenza di meccanismi di competizione e ricambio, dal dilagare delle logiche della cooptazione, dal proliferare delle rendite che paralizzano con i propri veti la politica, la società e lo Stato. Le nostre istituzioni sono deboli, barocche, impotenti. Difettano di stabili strumenti di governo. Sono state pensate così nel clima che preparava la guerra fredda e contando su una centralità dei partiti ideologici che oggi non esiste più da nessuna parte nel mondo.
Nelle democrazie contemporanee la centralità è attribuita alle istituzioni e alle persone che le guidano e che si assumono di fronte ai cittadini la responsabilità di governare. I partiti, se non vogliono essere aggregazioni irresponsabili di apparati di potere e di professionisti della politica senza mestiere, debbono essere strumenti e non fini, mezzi di servizio e non padroni irresponsabili della vita pubblica.
L'idea che per far funzionare la democrazia basti scegliere un partito che poi farà per noi è inaccettabile nell'italia di oggi e non appartiene alla cultura dei cittadini, i quali voglio scegliere le persone, i governi e i vertici delle istituzioni, come avviene a livello locale e regionale.
Se continua così l'Italia rischia l'ingovernabilità e il caos. Al caos crediamo vada contrapposta la responsabilità, all'ingovernabilità la scelta diretta e popolare di chi deve guidare il Paese, il singolo parlamentare e chi è posto al vertice dello Stato.
Oggi è possibile un accordo virtuoso tra i riformisti di questo paese; un accordo che preveda la disponibilità di ciascuno ad accogliere le ragioni dell'altro. Il Pdl ha lanciato una proposta: presidenzialismo alla francese con elezione delle camere con doppio turno di collegio.
Ricordiamo che quando questo modello fu adottato oltralpe, in condizioni di ingovernabilità molto simili a quelle attuali del nostro paese, la Francia era considerato il grande "malato d'Europa". Oggi il grande malato d'Europa è l'Italia.
Il Partito democratico da tempo sostiene il sistema elettorale a doppio turno, per il quale si rende oggi disponibile anche il partito di Angelino Alfano. Inoltre sappiamo che all'interno del PD non sono poche le voci responsabili di quanti hanno compreso l¹importanza dell'elezione diretta di un presidente governante.
Gianfranco Fini ha recuperato il suo antico cavallo di battaglia ed espresso il sostegno al modello francese, chiedendo ai suoi senatori di sottoscrivere gli emendamenti del Pdl.
L'accordo virtuoso può essere dunque raggiunto, i tempi tecnici ci sono e pare che la volontà politica stia prendendo forma.
Le forze politiche hanno ormai solo quest'ultima possibilità, è a loro che ci appelliamo, consapevoli della gravità del momento: questa è l'ultima chiamata. Le prossime elezioni saranno uno spartiacque.
Se quelle forze saranno in grado di essere all'altezza del momento storico e di cogliere questa occasione, potranno riscattarsi agli occhi dei cittadini e avviare finalmente una nuova stagione con un sistema di governo rinnovato, altrimenti verranno definitivamente travolte dall'indignazione e si aprirà una fase ancora più cupa, in cui ogni sbocco è possibile. E' in gioco il futuro della nostra democrazia.
Per adesioni all'appello scrivete a adesioni@presidenzialismo.com
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