La notizia circolava da alcuni giorni, ma solo ieri è stata
ufficializzata da una nota del colosso svedese a firma dell’AD Italia. Ikea
trasferisce alcune produzioni dall’Asia, Cina in particolare, all’Italia. E’
una notizia importante, importantissima. Ma non sorprende. Nel comparto mobili
ed arredamento, il nostro Paese figura al terzo posto nella classifica dei fornitori
IKEA, dopo appunto la Cina seguita dalla Polonia. Rappresenta – solo questo
comparto - circa l’8% del totale degli acquisti del Gruppo. Anche l’anno
orribile che si è appena concluso, ha comunque segnato un aspetto importante
nel rapporto dare/avere: Ikea acquista in Italia più di quello che vende con i
suoi megastores “serviti da solo”. Un
fenomeno! Parafrasando le sacre scritture, è la pecorella che ritorna all’ovile.
Si, perché alcuni anni orsono, Ikea aveva consentito, con i suoi ordinativi, la
crescita di decine di piccole imprese terziste, in particolare nel nordest.
Queste da una parte garantivano al Gigante
qualità e flessibilità produttiva, dall’altra ha permesso loro di svilupparsi,
consolidarsi e creare ricchezza per tutto l’indotto, dai produttori di
pannelli truciolari, alla minuteria, alle vernici per il legno e così via.
Poi la crisi ha iniziato a mordere. Dapprima si sono abbozzate
lunghe discussioni e trattative sui prezzi, poi sono comunque diminuiti gli
ordinativi, infine si è conclamata la delocalizzazione. Risultato: imprese che si
sono ridimensionate, altre sono andate in malora ed il vortice perverso si è
chiuso con inevitabili problemi.
Oggi Ikea ritorna, grazie alla constatazione sul terreno
cinese della maggior competenza dei nostri imprenditori e della competitiva capacità produttiva delle
nostre Aziende nel comparto mobili. Senza alcuna riserva, credo sia una gran bella soddisfazione, soprattutto perché
l’accordo raggiunto con alcuni produttori piemontesi porterà
ad una ricaduta occupazionale collegata a queste commesse stimabile attorno ai
2.500 posti di lavoro. Di questi tempi …direi
che non è male!
Come dicevo, non mi sorprende.
Conoscendo a fondo il mondo delle piccole
e medie imprese, sono da sempre un convinto sostenitore delle eccellenze
italiane, a vari livelli, non solo nel segmento luxury dove siamo
inequivocabilmente i numeri uno per fantasia e capacità manifatturiera. Il
problema di fondo, spesso ribadito, è come poterle sostenere con adeguate politiche economiche.
In secondo
luogo, Ikea è solo l’ultima azienda arrivata in questo processo mondiale iniziato da circa un anno: lo chiamano insourcing, ovvero il ritorno a produrre nel vecchio continente.
Non solo perché siamo “più bravi”, ma
perché diventiamo sempre più competitivi rispetto alla Cina. Il costo della manodopera in Cina sta crescendo rapidamente. Molto rapidamente: il 13%
annuo. Insomma i lavoratori cinesi, anno dopo anno, guadagnano sempre di più.
Certo, sono partiti da salari "ridicoli" per la nostra mentalità
occidentale, ma con un ritmo annuo così sostenuto la tendenza è chiara.
Dobbiamo poi aggiungere un altro fenomeno convergente: tra il 2005 ed il 2012 la moneta cinese (yuan) si è apprezzata del 30% sul dollaro. Aumento dei salari e crescita del costo del denaro sono un mix che, giorno dopo giorno, rende meno appetibile delocalizzare in Cina.
Dobbiamo poi aggiungere un altro fenomeno convergente: tra il 2005 ed il 2012 la moneta cinese (yuan) si è apprezzata del 30% sul dollaro. Aumento dei salari e crescita del costo del denaro sono un mix che, giorno dopo giorno, rende meno appetibile delocalizzare in Cina.
Ho sempre considerato la
globalizzazione come una opportunità e non una minaccia: occorre semplicemente
prenderne atto! Nuovi potenziali consumatori si affacciano ogni giorno sul
mercato, milioni di persone nel mondo da raggiungere. La questione aperta è un'altra:
cosa vuole fare il Paese – leggi il Governo – e più in generale l’Europa per
non creare ulteriori problemi, ovvero come gestire gli squilibri interni alla Comunità dovuti ad una sostanziale
mancanza di comunione nelle politiche fiscali e di welfare. Le troppe
differenze tra gli Stati membri, una moneta, l’euro, che è in uso a tutti ma non appartiene a nessuno, pongono il Vecchio Continente in una difficile
posizione rispetto ai competitors mondiali. Riguardo all’Italia, sarebbe
opportuno, sull’esempio degli Stati Uniti, prevedere una serie di incentivi per
le imprese che mantengono la produzione nel Paese, procedere senza indugi ad una certificazione etica del Made in Italy per salvaguardare il valore immateriale di
questo che ho definito “supermarchio”, spostare il focus delle imposte dal lavoro e
dai lavoratori ai patrimoni ed alle rendite. Carpe diem, altrimenti la notizia di altre Ikea che ritornano nel Belpaese diventerà
rara come un gatto che cade dal tetto!
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