Le elezioni amministrative non riflettono la situazione politica nazionale. Gli elettori sono chiamati ad un giudizio sull’operato del sindaco uscente e sulle promesse degli sfidanti. La motivazione al voto è quindi basata sulla percezione di ciò che è stato fatto e sulla sensazione di ciò che l’amministrazione futura sarà in grado di fare per la città.
Leggendo i commenti sugli esiti delle elezioni amministrative ci si ritrova in una selva di analisi e commenti concentrati più sui riflessi che potrebbero avere sull’attività e gli equilibri politici nazionali, in particolare quella del governo di larghe intese e sullo stato di salute dei partiti, piuttosto che sui temi legati più strettamente all’amministrazione futura delle città dove si è votato. Se da una parte è comprensibile lo sforzo dei politici addetti ai lavori, soprattutto quelli che temevano possibili debacle, dall’altra è innegabile che di discussioni sterili ed a volte stucchevoli si tratti.
Le elezioni amministrative non riflettono la situazione politica nazionale. Gli elettori sono chiamati ad un giudizio sull’operato del sindaco uscente e sulle promesse degli sfidanti. La motivazione al voto è quindi basata sulla percezione di ciò che è stato fatto e sulla sensazione di ciò che l’amministrazione futura sarà in grado di fare per la città.
E’ quindi un giudizio diretto sulla persona del candidato sindaco, dove i partiti d’appartenenza e gli schemi a loro legati svolgono un ruolo di secondo piano. Il caso di Roma è emblematico per capire a fondo la situazione. Alemanno ha ereditato una situazione di bilancio fallimentare. E’ arrivato in campagna elettorale con il peso di presunti o veri scandali sulle spalle. Tuttavia la percentuale dei consensi lo porta comunque al secondo turno.
Marino non era il candidato preferito del Pd, peraltro con posizioni politiche lontane da quelle di Renzi che molti vedono e vogliono quale futuro leader di quel partito. Ciò nonostante è arrivato primo… e chissà che al ballottaggio non segua il destino di quell’altro, il suo vecchio segretario. De Vito raccoglie una bassissima percentuale e molti parlano a torto di un flop dei cinque stelle con inevitabili ricadute a livello nazionale. Non è così, è il candidato De Vito lo sconfitto, non il movimento di Grillo. Che storia politica aveva da raccontare? Nessuna.
In sintesi, sono tutte storie personali ed il loro destino politico è legato alle proprie trascorse esperienze pubbliche e private in un contesto cittadino, quindi limitato nella sua sfera di influenza al sentiment degli abitanti di quella comunità specifica e spesso esclusiva che è il comune di residenza.
C’è solo un comune denominatore tra le elezioni amministrative e le politiche: l’astensione elevata. Viene da porsi una domanda: trattasi di disaffezione alla politica, della mancanza di una valida offerta nella quale gli elettori possano sentirsi poi rappresentati, oppure di un preciso segnale di crisi della democrazia? Propendo per la seconda: può essere che i cittadini siano stanchi di un sistema democratico che, alla resa dei conti, è risultato inefficace. Cresce il bisogno, quasi istintivo, di un decisionismo governativo che possa agire e fare.
Ed ecco che in assenza di un nuovo modello istituzionale che possa garantire piena libertà d’azione a chi è democraticamente eletto, il cittadino disilluso diserta le urne. Una sorta di “pigrizia rassegnata” tuttavia molto pericolosa se trascurata perché può dare adito ad abusi autoritari. Per essere superata, necessita di una riforma in di una oramai logora ed inadatta Costituzione. Il modello presidenzialista, di un leader democraticamente eletto direttamente dai cittadini è una soluzione: occorre pensarci seriamente e realizzarlo.
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