Sono tra coloro che hanno avuto
la fortuna di permettersi un periodo di vacanze relativamente lungo e, come
altri miei connazionali “fortunati”, lo
abbiamo trascorso all’estero, in Grecia. Mentre leggevo le notizie utilizzando free
wi-fi in tutte le taverne o spiagge,
dove lettini ed ombrelloni erano messi a
disposizione gratuitamente (con un tacito accordo di almeno una consumazione …ma
chi non sente il desiderio di bere qualcosa …) e mentre osservavo i greci in
vacanza (preferiamo i luoghi meno frequentati da quelli tradizionalmente meta dei turisti,
tipo isole) non potevo fare a meno di pensare come la realtà del Paese fosse
distante da quella descritta. Leggevo che per le vie di Atene non girano più
macchine, solo biciclette.. balle! Suggerisco di evitare il traffico di Atene.
Leggevo di una popolazione in ginocchio, altra balla! Certo, avverti una
diffusa preoccupazione, ma vedi molta gente che si è rimboccata le maniche, ha
costruito sterrati per giungere in calette meravigliose, realizzando lidi che
farebbero arrossire i Bagni Fiore di Paraggi.
Nel nostro girovagare in
Calcidica e Pelopponeso, abbiamo soggiornato in hotels di lusso pagando rates
da albergo tre stelle in Romagna, cenato in ristoranti incantevoli a base di
pesce (con Prosecco e Franciacorta) e prezzi da trattoria, per non parlare poi delle
tipiche taverne sulle spiagge …
Per vizio di mestiere, mi sono
confrontato con gli imprenditori, dai proprietari ai direttori degli hotels, ai ristoratori. In sintesi, l’umore comune è
quello di una consapevolezza diffusa che è finita un’epoca: quella dei sussidi
e dell’intervento pubblico per coprire inefficienza e pigrizia mentale. Hanno
capito di avere una grande fortuna, il loro territorio, la loro storia e le
loro tradizioni da proporre al turismo internazionale e da “vendere” ad un
giusto prezzo ovviamente. Stanno
affinando il servizio e la qualità dell’offerta: il benchmark ? Guarda un po’ .. è l’Italia. Quindi,
riprendono gli investimenti, molti quelli stranieri, nel settore dell’hospitality
greca: ed è un concreto passo in avanti verso la fine del tunnel.
E noi che facciamo? Quando capiremo
che il futuro del Paese è nel suo patrimonio rappresentato dal territorio,
nelle sue produzioni d’eccellenza, nell’ impresa artigianale, nella naturale creatività
e stile che deriva dalla nostra storia? Quando capiremo che i clienti dei
nostri brands a Shanghai o Riga hanno un’idea dell’Italia che viene disattesa
non appena sbarcano a Malpensa? Quando realizzeremo pienamente che la new
economy non potrà assorbire i posti di lavoro che sono venuti a mancare in
questi ultimi anni e, dato il ritardo strutturale di vent’anni rispetto ad
altri Paesi, saremo comunque in affannosa rincorsa? Un bravo artigiano, un
calzolaio, un sarto, un falegname sono figure che possono rappresentare un
modello per i giovani: occorre promuoverle
Populismo e balle colossali sono una sorta di anestesia collettiva che non
aiutano un Paese, ma evidentemente fungono da sonnifero per addormentare le menti.
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